"Arca russa" di Aleksander Sokurov

Sokurov mette in crisi il concetto tradizionale di messa in scena perché riesce a penetrare lo spazio in ogni angolo e in ogni direzione, a contenere tutto in un solo respiro, in un flusso ininterrotto di immagini che non trovano più ostacoli nella tecnica stessa del cinema

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È ancora una volta splendidamente sperimentale il cinema di Aleksander Sokurov che in Russian Ark porta alle estreme conseguenze la ricerca iniziata un anno prima con il mediometraggio Elegia dorogi. Il risultato è un film che più e meglio di ogni altro, fin'ora, ha saputo interpretare il digitale, trasformando in poetica le nuove possibilità della tecnica "leggera". L'assunto di partenza è quello di scegliere il piano sequenza come unico strumento, rinunciando al montaggio e alla manipolazione del tempo e realizzando, di fatto, l'utopia del cinema e del movimento continuo. Il set di Russian Ark è l'Ermitage di San Pietroburgo, con le sue sale ampie e sfarzose, i suoi visitatori, di ieri e di oggi, la storia che si è depositata in quel luogo e che affiora, tangibile, sulla superficie delle cose. In questo museo si compie un vero e proprio viaggio nel tempo, attraverso le diverse epoche della storia russa, dal presente al passato e viceversa, senza stacchi né ellissi, ci troviamo, coi nostri occhi, di fronte il mondo di Pietro il Grande, Caterina, Nicola II, semplicemente "orientando" lo sguardo, in un modo o in un altro. Così facendo Sokurov mette in crisi il concetto tradizionale di messa in scena perché riesce a penetrare lo spazio in ogni angolo e in ogni direzione, a contenere tutto in un solo respiro, in un flusso ininterrotto di immagini che non trovano più ostacoli nella tecnica stessa del cinema. L'era digitale ha riportato il cinema alla ricerca di un tempo che, non solo non trova scomposizione e segmentazione nella pratica del montaggio, ma che realizza la perfetta assimilazione tra il tempo del set e quello della fruizione spettatoriale, fino quasi a identificare l'uno nell'altro, a contenerli tutti dentro la stessa immagine-film.

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Ma Russian Ark è anche una riflessione teorica sullo sguardo, sulla possibilità di vedere con gli occhi chiusi, come la donna cieca che percorre i saloni del museo e osserva i dipinti e le sculture con la famigliarità di chi ne conosce perfettamente le tonalità e le linee, perché la sua osservazione è andata oltre l'apparenza sensibile, oltre il gesto e la necessità di vedere. A tal punto si è spinta nel profondo delle cose, da poter insegnare al suo interlocutore (e quindi a noi spettatori) il modo, la distanza e la disposizione di quel guardare e di quel vedere (e per questo lo sguardo si sdoppia e si affida, a sua volta, agli occhi di un osservatore, poeta del mondo e della vita). Si ripensa, allora, all'inizio immerso nel buio, alle parole pronunciate fuori campo: "Ho aperto gli occhi e non ho visto nulla", al film che prende forma dallo schermo nero e che potrebbe continuare per sempre nel buio degli occhi chiusi.


Titolo originale: Russian Ark
Regia: Aleksandr Sokurov
Sceneggiatura: Anatoli Nikiforov, Aleksandr Sokurov
Fotografia: Tilman Buttner
Montaggio: Stefan Ciupek, Sergey Ivanov, Betina Kuntzsch
Musica: Sergey Yevtushenko
Scenografia: Aleksandr Sokurov
Costumi: Maria Grishanova, Lidiya Kryukova, Tamara Seferyan
Interpreti: Sergei Dreiden (marchese Di Custine), Maria Kuznetsova (Caterina La Grande), Leonid Mozgovoy (la spia), Mikhail Piotrovsky (se stesso), David Giorgobiani (Orbeli), Alexander Chaban (Boris Piotrovsky), Vladimir Baranov (Nicola II), Anna Aleksakhina (Alexandra Fyodorovna), Natalya Nikulenko (Caterina I), Maksim Sergeyev (Pietro il Grande)
Produzione: Hermitage Bridge Studio/Egoli Tossell Film
Distribuzione: Mikado
Durata: 96'
Origine: Russia/Germania, 2002


 

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