"La regola del sospetto", di Roger Donaldson

Ci troviamo dalle parti di un action movie come tanti, illuminato di volta in volta da una confezione tecnica più che dignitosa, ma sempre incapace di spingere il cinema al di là di soglie consentite.

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E' un cinema sobrio quello di Donaldson, un dispositivo narrativo in perfetta regola, salvo interessanti eccezioni come il penultimo Thirteeen Days. Là si trattava di restituire il falso movimento dei corpi del potere intrappolati nelle viscere claustrofobiche di un sistema, appunto, chiuso. Un cinema quasi da camera quindi, illuminato però da ricognizioni fulminanti di un tessuto familiare (questo il possibile esterno) in cui campeggiava l'angelo custode di Donaldson, un certo Kevin Costner, vero e proprio co-autore dei film girati assieme. Con La regola del sospetto però siamo dalle parti di un action movie come tanti, illuminato di volta in volta da una confezione tecnica più che dignitosa, ma sempre incapace di spingere il cinema al di là di soglie consentite. Quando nelle prime sequenze ci troviamo di fronte alla macchinazione virtuale di una scoperta informatica (agita dal protagonista Farrell), le triangolazioni nervose del cinema di Donaldson ci convincono pure. Ritmo forsennato da videoclip isterico, decentramento del soggetto in funzione di un controcampo inesistente. Poi quando la curva si riconverte in traiettoria piana, abbiamo come l'impressione che il film sia già finito. Non ci sbagliamo. Il protagonista viene contattato da un agente segreto (un Al Pacino stranamente controllato) che gli chiede di affrontare un periodo di allenamento per diventare anch'egli agente segreto. Le molle che spingono il ragazzo ad accettare l'offerta sono due: il padre è morto misteriosamente qualche anno prima in una missione segreta (era un agente speciale) e la consapevolezza di essere portato per questo tipo di incarichi. Donaldson costruisce così la messinscena secondo due diverse direttive: da un lato rinchiude i corpi messi in campo su superfici piane e risapute (il regista conosce bene la geografia del genere), dall'altra (e ciò accade nella seconda parte dell'opera) attua sui corpi messi in campo un'operazione spersonalizzante, giocando di continuo sul presupposto di un'apparenza labile e contraddittoria. E' così allora che il corpo del protagonista resta sempre lo stesso (tensione al movimento, perplessità scandite dalle scatole cinesi in cui sembra rinchiuso), mentre quelli attorno a lui cambiano, mutando di continuo proprio su liminare estremo della tipizzazione. Non è un gioco metalinguistico, non è una riflessione sui doppi del/nel cinema, ma un semplice artificio retorico che peraltro a Donaldson non riesce bene. Si complicano i livelli fruitivi dell'opera e si raffreddano i possibili momenti caldi della visione (il rapporto continuamente rimandato con la protagonista, la luce chiarificatrice sulla morte del padre) con un susseguirsi ininterrotto di situazioni estremamente chiuse, legate a doppio filo sul loro nascere ad una costruzione narrativa giocata interamente sull'equivoco. E' come se Donaldson avesse improvvisamente abdicato a fare del cinema una autentica macchina di emozioni, per correre dietro ad un presunto controllo del materiale a disposizione (lo si capisce sin troppo bene nei fraseggi eccessivamente costruiti della parte finale) sotto forma di continui rovesciamenti di fronte. Come se il cinema non fosse già di per sé rovesciamento…

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Titolo originale: The Recruit
Regia: Roger Donaldson
Sceneggiatura: Roger Towne, Kurt Wimmer, Mitch Glazer
Fotografia: Stuart Dryburgh
Montaggio: David Rosenbloom, A.C.E
Musiche: Klaus Badelt
Scenografia: Andrew McAlpine
Costumi: Beatrix Aruna Pasztor
Interpreti: Al Pacino (Walter Burke), Colin Farrell (James Clayton), Bridget Moynahan (Layla), Mike Realba (Ronnie), Dom Fiore (Istruttore), Karl Pruner (Dennis Slayne), Ron Lea (Rapp.Dell), Jeanie Calleja (Collega di scuola ), Steve Behal (Easaminatore Procter), Sam Kalilieh (Elliot), Bart bedford (Assistente), Chris Owens (Art Wallis), Merwin Mondesir (Stan), John Watson (Guardia)
Produzione: Jean Apple, Gary Barber, Roger Birnbaum per Birnbaum-Barber
Distribuzione: Buena Vista International Italia
Durata: 114'
Origine: USA, 2003

Titolo originale: The Recruit


Regia: Roger Donaldson


Sceneggiatura: Roger Towne, Kurt Wimmer, Mitch Glazer


Fotografia: Stuart Dryburgh


Scenografia: Andrew McAlpine


Montaggio: David Rosenbloom, A.C.E


Musiche: Klaus Badelt


Costumi: Beatrix Aruna Pasztor


Interpreti: Al Pacino (Walter Burke), Colin Farrell (James Clayton), Bridget Moynahan (Layla), Mike Realba (Ronnie), Dom Fiore (Istruttore#1), Karl Pruner (Dennis Slayne), Ron Lea (Rapp.Dell), Jeanie Calleja (Collega di scuola #1), Steve Behal (Easaminatore Procter), Sam Kalilieh (Elliot), Bart bedford (Assistente), Chris Owens (Art Wallis), Merwin Mondesir (Stan), John Watson (Guardia)


Produzione: BIRNBAUM-BARBER


Distribuzione: Buena Vista


Durata: 114'


Origine: USA, 2003

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