RIVISTE – C'è (ancora) bisogno di una donna per questo lavoro

uma thurman in kill bill
Una profonda analisi sulla figura della donna guerriero nel cinema analogico e digitale, da Alien ad Avatar, della sua importanza all'interno del dibattito femministae su quanta strada ci sia ancora da fare per raggiungere l'emancipazione, sullo schermo come nella vita reale. Di Lee-Jane Bennion-Nixon – da Senses of Cinema

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I recenti sviluppi del settore cinematografico dimostrano che attualmente stiamo vivendo l’importante passaggio verso un futuro digitale. I progressi nella computer grafica permettono di esplorare nuovi ed emozionanti mondi, personaggi e archi narrativi. I formati e i modelli di distribuzione stanno modificando il modo in cui fruiamo del cinema. Il successo di Avatar (2009) di James Cameron ha risvegliato l’interesse intorno alla tecnologia del 3D, dal momento che i registi cercano di creare esperienze sempre più immersive.Tuttavia, nonostante le innovazioni e le possibilità, gli addetti ai lavori sono ancora saldamente attaccati a un mondo caratterizzato da determinati limiti ideologici. Per esempio, sebbene il digitale permetta di manipolare l’identità sessuale, la rappresentazione contemporanea digitale della donna spesso sembra appartenere a un mondo analogico, come la seguente riflessione si propone di dimostrare.

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La Sposa - Kill BillLa donna guerriero può essere inquadrata come una figura emblematica che semplifica e incarna una gamma di significati contrastanti sulla femminilità, soprattutto donne fisicamente abili e piene di risorse. Nonostante questo concetto faccia parte da tempo del nostro immaginario collettivo, recentemente tale figura è diventata un’anomalia piuttosto che un archetipo. Nell’ultimo decennio le donne guerriero sono apparse più volte, in diversi generi, e sono comprensibilmente diventate oggetto di un’attenzione sempre maggiore nel mondo accademico. Il concetto di eroina è profondamente radicato nel nostro immaginario culturale: come afferma Hilary Neroni, è diventata “una presenza indubitabile nell’universo dei media contemporanei.” […]

 

La figura che ho indicato come ‘donna guerriero’ è stata di volta in volta definita ‘dura’, ‘donna d’azione’, ‘eroina aggressiva’, ‘femme violenta’ e ‘donna violenta’. L’elemento fondamentale di questa figura è quindi la sua tendenza alla violenza. La donna guerriero è caratterizzata anche dalla forza fisica e/o mentale di cui fa sfoggio davanti alle avversità. È questa combinazione di forza e inclinazione alla violenza che la rende una manifestazione distinta di ‘femminilità’. Alcuni degli esempi più famosi in questo senso sono la madre vendicatrice di Spy (1996), la piratessa inglese della trilogia dei Pirati dei Caraibi (2003, 2006, 2007), la Sposa di Kill Bill di Quentin Tarantino (2003/2004), la spia truffatrice di Salt (2010), o l’aliena Neytiri, l’’amante eroica’ di Avatar.

 

Il continuo apparire di nuove donne guerriero indica che il dibattito nell’ambito del cinema femminista e dello studio dei media rimane rilevante. Come afferma Hilary Neroni, “è sempre più frequente vedere una donna in grado di combattere, […]piuttosto che una donna che non lo sia.Elisabetta I - Elizabeth - The golden age Per esempio, la frase di lancio di Elizabeth: The Golden Age (2007) è “Donna. Guerriero. Regina.” Sotto, Elisabetta I in armatura. La significativa immagine sottolinea il concetto di una regina in guerra. Anche il trailer del film mostra Elisabetta (Cate Blanchett) in tenuta militaresca, a cavallo di un destriero bianco pronta a spronare le sue truppe sul campo di battaglia. Questo tipo di strategia pubblicitaria implica che il concetto di donne come combattenti per la nazione è ampiamente riconosciuto dal pubblico: la figura di una donna, violenta, coraggiosa ed eroica non è solo culturalmente riconoscibile, è anche familiare. Una simile rappresentazione della femminilità sottolinea come sia cambiata l’idea dell’’essere donna’, e segna una svolta nel modo in cui le donne sono dipinte nella cultura popolare, ampliando il significato cui il termine ‘donna’ rimanda.

 

La donna guerriero inoltre sfida le convenzioni della rappresentazione di maschile e femminile. Se, come sostiene Judith Halberstam, i codici di virilità evocano “nozioni di potere, legittimità e privilegio”, quindi ‘naturalizzano’ i rapporti tra uomo e potere nella nostra società occidentale, la donna guerriero mette in discussione questo rapporto. Piuttosto, offre all’immaginario collettivo un’idea più progressista di cosa significhi essere eroe e femmina: è la rappresentazione dinamica di una figura che combina in sé tratti maschili e femminili. Inoltre, è il luogo in cui avviene il dibattito intorno a cosa può essere considerato ‘accettabile’ per una donna. L’eroismo della donna guerriero è insieme maschile e femminile, e sconvolge la tendenza culturale di rappresentare queste categorie in termini rigidi e binari. Questo si traduce in una fusione di attributi di entrambi i sessi in un corpo femminile dall’intensa carica sensuale. È chiaramente femminile, perfino materna, ma è anche un soldato super efficiente, abile nell’uso delle armi e della tecnologia, ottimo stratega e leader quanto qualsiasi uomo. Inoltre, le sue qualità femminili non inibiscono il suo coraggio in battaglia, mentre i suoi tratti maschili non sviliscono la sua umanità.

 

Sarah Connor - Terminator 2La donna guerriero quindi è una figura femminile eroica che incarna e rappresenta un’identità sessuale ibrida, che trascende le convenzioni e l’iconografia. Questa immagine apparentemente progressista di femminilità che proviene dall’era pre-digitale potrebbe essere la base per la nascita di straordinarie donne digitali. Questo poteva essere il caso di Neytiri in Avatar, di cui parlerò a breve. Il regista di Avatar, James Cameron, è una personalità nota in quanto a donne guerriero dal momento che nella sua filmografia esistono due esempi memorabili: Sarah Connor (Linda Hamilton) in Terminator (1984) e Terminator 2: Il giorno del giudizio (1991), ed Ellen Ripley (Sigourney Weaver) in Aliens – Scontro finale (1986). Il ritratto di Sarah Connor ha spinto al limite la rappresentazione della maternità. Cameriera terrorizzata nel primo film, nel sequel diventa un guerriero completo che tenta di proteggere suo figlio dai cyborg venuti dal futuro per ucciderlo. In Terminator 2 il suo corpo muscoloso, ma pur sempre femminile, esprime un concetto di maternità attiva e svincolata dalle convenzioni sessuali. In Aliens Cameron trasforma la protagonista da una sorta di donna abbozzata a un’esplicita figura femminista. Judith Newton sostiene che in Alien (1979) Ripley, ben lungi dall’essere un’eroina femminista, è “priva di una forza critica radicale” perché il racconto le conferisce caratteristiche femminili stereotipate; “impulsiva, protettiva e sessualmente desiderabile.” La versione di Ripley di Cameron unisce l’aggressività maschile e l’istinto ‘materno’ per sconfiggere la minaccia aliena, ma anche per proteggere Newt, una giovane sopravvissuta. Ripley affronta la sua immagine allo specchio – la mostruosa ‘regina’ aliena – e trionfa.

 

Considerato l’interesse di Cameron per forti personaggi femminili, era lecito aspettarsi che Ellen Ripley - AliensNeytiri segnasse una nuova fase nel percorso della donna guerriero. Invece, nonostante la possibilità dell’innovazione estetica, Cameron ha creato una protagonista femminile convenzionale, anche stereotipata. Neytiri ha più tratti in comune con Rose di Titanic (1997) che con Sarah Connor, Ellen Ripley, o Lindsay Brigman (Mary Elizabeth Mastrantonio) di The Abyss (1989). Una figura attraente ed esotica, Neytiri soddisfa il ruolo di amante e bellezza indigena. Sebbene sia introdotta nella storia come un guerriero, il suo arco narrativo ricorda più Pochaontas nell’omonimo film Disney: le motivazioni di Neytiri sono subordinate a quelle del protagonista, Jake (Sam Worthington). È vestita a malapena, ed è descritta con qualità animalesche; insomma, corrisponde allo stereotipo razzista della conquista esotica dell’uomo bianco.

Il ruolo della tecnologia digitale in questo frangente è importante. Come molti personaggi di Avatar, Neytiri è stata creata grazie alla manipolazione digitale delle prestazioni di attori veri con la tecnologia del motion capture. Nel caso di Neytiri, Zoe Saldana, nota per il suo lavoro in La maledizione della prima luna (2003) e Star Trek: Il futuro ha inizio (2009) ha fornito la performance originale. La voce è stata in seguito sincronizzata al corpo digitale di Neytiri. Questa combinazione ha (se così si può dire) conferito al personaggio una certa autenticità, perché sembrava basata sulla realtà. Ovviamente, tutte le caratteristiche fisiche di Neytiri, le movenze del suo corpo digitale, la maniera in cui interagisce con l’ambiente e ogni risposta emozionale sono state sviluppate grazie al lavoro di un nutrito team di artisti della CGI. Il risultato è uno stereotipo sessista e razziale, naturalizzato dalla presenza corporea dell’attore. […]

 

La rappresentazione di sesso e razza non sorprende di certo, dal momento che si tratta pur sempre di un blockbuster hollywoodiano. Però, questo ci ricorda che gli sforzi di rappresentazione continuano indipendentemente dal medium, e che tutta la retorica a proposito della libertà espressiva rimane, appunto, solo retorica. Queste affermazioni implicano sempre una dimensione ideologica. In questo senso, la donna guerriero ha un ruolo di vitale importanza da giocare nella battaglia dei sessi e della rappresentazione. Le sue numerose qualità possono essere lette come una metafora dei diversi ruoli che le donne occupano nella società contemporanea – madre, lavoratrice, colei che mantiene la famiglia, capo del nucleo domestico – o i problemi che affrontano: discriminazione, violenza, ineguaglianza e via dicendo. La donna guerriero impersona anche la nozione di lotta nel corso di un’esistenza difficile, e fisicamente molto attiva. È un promemoria, una sfida e una chiamata alle armi, una figura autorevole che proietta una rappresentazione di femminilità assolutamente in grado di essere ‘eroica’, non importa in che situazioni si trovi.

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Avatar - Neityri/Zoe SaldanaChanter ci ricorda che la semplice inversione dell’attuale dinamica di forza tra i ruoli maschili e femminili non è un progetto adeguato di femminismo; diventare attive e arrivare in cima alla catena di comando non è la risposta. Tuttavia il cinema può essere un buon punto di partenza, soprattutto nell’era del cinema digitale. Nonostante Avatar sia il frutto di un immenso lavoro di squadra, bisogna ricordare che non solo nasce dalla visione di un singolo uomo, ma che, se l’aneddotica riporta il vero, James Cameron si è occupato personalmente di molti dettagli del film. Non c’è dubbio che Cameron sia stato il Pigmalione della Neytiri della Saldana. Ci si domanda cosa sarebbe diventata Neytiri (o anche tutto il film) se la regia fosse stata affidata a, per esempio, l’ex moglie di Cameron – nonché colei che, fra i due, si è aggiudicata il premio Oscar – Kathryn Bigelow. Sebbene la Bigelow abbia negato di essere una femminista, i suoi film hanno spesso mostrato un certo interesse nella rielaborazione delle convenzioni sessuali e di genere: Blue Steel – Bersaglio mortale (1989), Point Break – Punto di rottura (1991) e Strange Days (1995) per esempio.

 

Per valicare i limiti della rappresentazione analogica nella tecnologia digitale, dobbiamo fare ben altro che manipolare pixel. Dobbiamo incanalare il pensiero in un flusso. In un momento in cui molte donne, molte giovani donne soprattutto, non vedono la necessità di una politica femminista, la donna guerriero può fungere da mezzo per stimolare un dibattito intorno alla rappresentazione della donna secondo una prospettiva femminista. […] La tecnologia digitale è sempre più alla portata di tutti: telecamere ed effetti speciali sono ragionevolmente accessibili, e i software di animazione potrebbero diventarlo molto presto. Presto potremo superare le gerarchie creative che strutturano le grandi produzioni e andare verso la democratizzazione dell’immagine in movimento.

 

In questo contesto è il caso di esplorare il potenziale di Lara Croft come donna digitale, perché dimostra che la figura della donna guerriero può funzionare come luogo di complesse negoziazioni. La Croft è una creatura inusuale, ibrida, creata negli anni ’90 da un game designer inglese. Lara è un’avventuriera e insegue scopi tradizionalmente maschili, ovvero recuperare manufatti nascosti e tesori sepolti: è una rielaborazione di personaggi come Indiana Jones. Lara è fisicamente forte, una straordinaria combattente e una eccezionale tiratrice scelta. Guida auto, motociclette e ogni tipo di veicoli. Le sue fenomenali doti di atleta le permettono di arrampicarsi e muoversi su terreni per i più ostili. Dalla sua prima apparizione Lara Croft è diventata un’icona, protagonista di videogiochi, fumetti e film. Anche se la performance di Angelina Jolie nei panni di Lara nei due film Tomb Raider (2001, 2003) ha regalato una memorabile versione cinematografica dell’avventuriera, Lara rimane una figura culturale popolare e mutevole.

 

Maja Mikula afferma che il fascino di Lara Croft sta appunto nelle qualità aperte o duttili del Lara Croft - Tomb raiderpersonaggio: “È una drag queen e una donna automa, una dominatrice e una bomba sexy, contemporaneamente, in modi diversi, per un pubblico sempre differente.” Come Lara Croft, tutte le donne guerriero sono luogo di significati negoziati, difficili da fissare socialmente e culturalmente. Possiamo tracciare paralleli tra l’abilità di manipolare le immagini digitali e le qualità flessibili, anche elusive della donna guerriero. […] Comunque, mentre la donna guerriero è un mutaforma, le presenze multiple della Croft dimostrano che la donna guerriero può circolare nella cultura come una conversazione su ciò che può essere potenzialmente rappresentato e identificato come donna. Lara Croft è una rappresentazione della femminilità flessibile e adattabile a seconda del pubblico, un luogo di negoziazioni che le conferiscono potenziale sovversivo. La Mikula riconosce che giocatori diversi vedono Lara Croft in molti modi diversi. Alcune donne amano calarsi nei panni di Lara – avventurosa, forte e indipendente – mentre i giocatori uomini insistono sulla possibilità di controllarla. Alcune attiviste femministe, nota la Mikula, hanno perfino utilizzato la sua immagine in manifestazioni politiche di gender bender. La Croft è dunque una figura ludica che, sotto certi aspetti, può interagire con i suoi fan. Non importa che sia un’immagine filmica, e che in quanto tale rimanga attaccata al corpo di un’attrice: è sempre duttile a seconda dei desideri e dei bisogni dei suoi fan, nonché ai contesti e ai modi in cui appare. Questa flessibilità agisce anche come metafora della rappresentazione digitale nella politica femminista. La donna (guerriero) digitale non galleggia libera al di sopra o al di là del genere: ognuna delle sue apparizioni è una performance di identità sessuale e la rappresentazione può essere individuata e analizzata, soprattutto in rapporto alle donne guerriero cinematografiche e televisive che l’hanno preceduta.

 

We (Still) Need a Woman for the Job: The Warrior Woman, Feminism and Cinema in the Digital Age

di LEE-JANE BENNION-NIXON

Lee-Jane Bennion-Nixon è regista e docente del corso di cinema alla Victoria University di Wellington. Ha conseguito il dottorato con un progetto sulla figura della donna guerriero nel cinema e nei media contemporaneti e sul suo uso come strumento di formazione. Tra i suoi film, The End and Back Again (2007).

Traduzione a cura di Ilaria Fusé

 

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