84° Academy Awards

Non era mai accaduto che un film francese vincesse l’Oscar per il miglior film, la regia e l’attore protagonista; in passato, l’unico regista non americano o inglese ad avere vinto l’Oscar era stato Bernardo Bertolucci nel 1987. Quest'anno agli Oscar la grande sfida era tra due “revival” di stagione: The Artist e Hugo. Sono entrambi due ottimi film, ma si è felici di un premio alla sobrietà e alla semplicità della commedia francese.Michel Hazanavicius e Bèrènice Bejo

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Non era mai accaduto prima nella storia dell’Academy Awards che un film francese vincesse l’Oscar per il miglior film, la regia e l’attore protagonista. E’ anche il secondo anno consecutivo in cui i tre premi principali (film-regia-attore) non vengono vinti da americani. Ma che una commedia francese, in b/n, e persino muto riuscisse a sfatare il tabù sembrava davvero impossibile. In passato, l’unico regista non americano o inglese ad avere vinto l’Oscar era stato Bernardo Bertolucci nel 1987, con L’ultimo Imperatore, allora si trattò di una coproduzione tra Gran Bretagna, Italia e Cina. Ma torniamo all’84 manifestazione dell’Academy. Il film di Hazanavicius vince 5 statuette: miglior film, regia, attore (Jean Dujardin), costumi e colonna sonora. L’altro grande rivale, Hugo di Martin Scorsese ne vince altrettanti, ma nelle categorie tecniche considerate come “minori” (pur non essendo affatto la categoria della fotografia considerabile come minore): miglior fotografia, scenografia, suono, montaggio sonoro ed effetti speciali visivi. Il miglior montaggio stupisce persino un po’, per logica sarebbe dovuto andare a The Artist, invece viene vinto da Millennium di Fincher, invece i due Oscar per la sceneggiatura vanno, come erano le previsioni, ad Alexander Payne (sceneggiatura non originale) per The Descendants e a Woody Allen (sceneggiatura originale) per Midnight in Paris (Allen non era presente a ritirare la statuetta, perché come si sa il regista americano non ha mai presenziato alla manifestazione). La miglior attrice protagonista è invece l’ovvia Meryl Streep e i due protagonisti, il grande Christopher Plummer (attore che aveva dato grandi performance in film come Twelve Monkeys di Gilliam e Inside Man di Spike Lee) e Octavia Spencer nel lacrimoso e ipocrita apologo sul razzismo, The Help.

In questa edizione degli Oscar la grande sfida era su due “revival” di stagione: il classico The Artist che ripercorre la fase storica in cui il cnema passò dal muto al sonoro, con morte e resurrezione di una star del muto; e dall’altra la grande lezione di cinema di Scorsese che ricorda a tutti gli spettatori del mondo quanto le fantasticherie cine-teatro di Melies siano state seminali per il traghettamento del cinema nell’era moderna, e quanto in sostanza, noi tutti siamo figli del suo universo fiabesco. La differenza, è che The Artist, almeno sulla carta pareva una sfida quasi impossibile (come far e oggi, nel 2011 a mostrare un film muto nell’era dell’extra/ultra sensorialità del 3D, nell’era in cui tutto il cinema è fracasso e rumore, e il silenzio e i toni del chiaro-scuro non sembrano più portatori di un’arte leggera che riproduca una mondo narrativo elegante e raffinato; mentre Hugo di Scorsese dà alla sua impalcatura narrativa l’orpello del 3D, e in questo senso veramente sorge il dubbio sulla bontà di questa tecnologia. Il 3D di Hugo è o non è necessario? Avendo visto il film in 3D posso ammettere che lo spettacolo sia stato entusiasmante, ma fino a che punto necessario? Il dubbio rimane. Per cui si è felici di un premio alla sobrietà di The Artist di Hazanavicius, la cui semplicità commuove ed esalta, e il cui progetto estetico funziona alla grande.

 

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