“Danni collaterali” di Andrew Davis

“Danni collaterali” non è solo quell’espressione gergale che indica il coinvolgimento di vittime civili in un atto terroristico, ma è un action crudo, forsennato e poco realista

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Dai tempi di “Commando” gli affetti familiari per Arnold Schwarzenegger sono una cosa seria. Lì c’era una figlia da strappare dalle grinfie di terroristi del Centro America, stesso contesto socio-politico che produce gli attuali antagonisti. Senza scomodare dunque transfert referenziali, anche “Danni collaterali” vuole perseguire l’esigenza di vendicare la morte violenta di moglie e figlio, scomparsi in un attentato terroristico. E’ il riscatto di un’America che non ha preparato i propri figli ad affrontare l’arrivo del giudizio finale concertato da forze esterne e terzomondiste. “Danni collaterali”, quindi non è solo quell’espressione gergale che indica il coinvolgimento di vittime civili in un atto terroristico, ma è un action crudo, forsennato e poco realista (aggettivo quanto mai irritante per il nostro “terminator”) così fermamente rappresentato da un Andrew Davis che pare aver perso lo slancio iniziale di “Trappola in alto mare” e “Il fuggitivo” per annullarsi come regista di fronte al suo attore. Finora in questo azzeramento registico aveva brillato solo un altro autore di ben altra abilità come Peter Hyams in “End of Days”. Quindi anche se lo spazio profilmico quello del Centro-America è assai aderente a certi Schwarzie del passato (“Predator”) e thriller para-politici dei tardi Settanta (come il capolavoro “Il salario della paura”) il film non si oppone agli stereotipi diegetici (il cattivo colombiano El Lobo e la consorte Selena che passa dalla parte dell’eroe senza alcuna motivazione ideologica, una Francesca Neri italiana anche nella finzione-finzione) e alla struttura dell’ingranaggio percettivo-espressivo. Quest’ultimo non subisce mutazioni radicali, ma ricolloca semplicemente lo spettatore senza implicazioni teoriche al centro di un universo catartico, che ha talora elementi di affettività, quali i consanguinei messi in pericolo o comunque eliminati dal Male. Non è una dimensione latente, ma vieppiù una dichiarazione d’intenti che non vuole mediazioni. Il comportamento guerrafondaio del protagonista viene legittimato per il fatto stesso di essere narrativizzato come elemento generatore dell’azione. In maniera umorale quasi. Con l’ausilio di una rozzezza dell’impianto narrativo che era stata accantonata nell’interessante e precedente “Il sesto giorno”, che è una precisa scelta da parte del repubblicano Arnold per operare la “pars destruens” di una consapevolezza divistica connaturata alla necessità dei legami col pubblico. Ma con una differenza importante e sostanziale: Schwarzenegger non se ne preoccupa qui neanche più di tanto, tutto attento com’è a non mortificare la rivalsa americana, che solo lui vede protesa verso un terzo mondo dove si annida il Diavolo anarcoide ed eversivo. Titolo originale: Collateral Damage
Regia: Andrew Davis
Sceneggiatura: David Griffiths, Peter Griffiths
Fotografia: Adam Greenberg
Montaggio: Dov Hoenig, Dennis Virkler
Musica: Graeme Revell
Scenografia: Philip Rosenberg
Costumi: James W. Tyson
Interpreti: Arnold Schwarzenegger (Gordy Brewer), Elias Koteas (Brandt, agente CIA), Francesca Neri (Selena), Cliff Curtis (Claudio ‘The Wolf’), John Leguizamo (Felix), John Turturro (Armstrong), Tyler Posey (Mauro), Jsu Garcia (Roman), Shelley Malil (dottore)
Produzione: Steven Reuther per Bel Air Entertainment/Hacienda Productions/Warner Bros.
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 115’
Origine: Usa, 2002

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