“Unico testimone” di Harold Becker

A forza di evitare colpi di scena e distorsioni dello sguardo, “Unico testimone” diventa il film che non è: vertiginosa variazione sul nulla filmato da un occhio svogliato

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Gran parte del cinema americano degli ultimi anni gioca in maniera sempre più scoperta le carte dell’assolta de-stabilizzazione di ogni assunto narrativo. Il chè vuol dire che ad un inizio d’opera segnato dalla più scontata prevedibilità funzionale, corrisponde sempre una sorta di fine choc, atta a rimescolare le carte con piglio decisamente terrorista. Non che non ci piaccia. Anzi. Il problema è che non abbiamo ancora perso del tutto quel gusto un po’ retrò che ci spinge a trascurare un pochino certi giochetti un po’ infantili di sceneggiatura per concentrarci invece sulla forma assunta dalla classicità postmoderna del filmico. Niente finale a sorpresa dunque, niente sballottamenti impazziti del senso, e soprattutto nessun tipo di rovesciamento delle parti in gioco. Parafrasando tutto ciò, non può non uscire fuori il nome di Harold Becker. Gran bel regista, non c’è che dire. Se non altro per uno stile re-inventato di opera in opera, capace di rinascere dalle ceneri del genere come pochi sanno fare oggi. In “Unico testimone” non è tanto questione di storia, di racconto, di svolgimento. E’ un altro il problema (assolutamente teorico) che Becker pone. Qual è il grado di assuafazione dello spettatore di oggi al colpo di scena imposto dal rituale spettacolare? Cosa succederebbe nel caso in cui si rispettasse l’assetto più banale del racconto, telefonando ogni stadio della storia addirittura prima che il film incominci? Se lo chiede Becker, francamente ce lo chiediamo anche noi. E il bello è che la risposta non ci interessa più di tanto. Poniamo l’interrogativo così, tanto per fare. La delusione in caso contrario, sarebbe cocente. Godiamoci allora quest’opera. Svolgimento piatto, figure in-campo tagliate con un’accetta spuntata, finale quasi delirante nel suo pressapochismo registico. E la solita storia del conflitto familiare con tanto di adolescente intrepido, che aiutato da un più che mai imbambolato Travolta, riesce ad avere la meglio sul classico cattivo senza scrupoli. Il Becker di “Seduzione pericolosa” è un ricordo molto lontano, ma non ce ne rammarichiamo più di tanto. I fatti sono due: o il regista americano ha improvvisamente smarrito il “suo” cinema, oppure ci ha regalato una perla di de-mistificazione totale di ogni assunto filmico. Come accennato prima, propendiamo per la seconda ipotesi. Il film è talmente sbilanciato nella direzione di un totale collassamento della dimensione spettacolar/effettistica da farci gridare quasi al miracolo nell’assistere ad un tale svuotamento di tutta la retorica effettistica accumulatasi in questi anni. Il racconto va avanti veloce e preciso, se ne frega di creare interesse nello spettatore, si crogiola nel suo essere remake impossibile di mille altri film dello stesso tipo. Ma il bello è che a forza di evitare colpi di scena e distorsioni dello sguardo, “Unico testimone” diventa (meravigliosa teoria che palesa se stessa quale ultimo atto di un possibile Spettacolo) il film che non è: vertiginosa variazione sul nulla filmato da un occhio svogliato.
Titolo originale: Domestic Disturbance
Regia: Harold Becker
Sceneggiatura: Lewis Colick
Fotografia: Micheal Seresin
Montaggio: Peter Honess
Musica: Mark Mancina
Scenografia: Clay A. Griffith
Costumi: Bobby Read
Interpreti: John Travolta (Frank Morrison), Vince Vaughn (Rick Barnes), Teri Polo (Susan Morrison Barnes), Matthew O’Leary (Danny Morrison), Steve Buscemi (Ray Coleman), James Lashky (Jason), Rebecca Tilney (Laurie), Debra Mooney (Theresa)
Produzione: Harold Becker, Donald De Line, Jonathan D. Krane
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 89’
Origine: Stati Uniti, 2001

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