"Una rondine fa primavera" di Christian Carion

Un po’ Heidi un po’ docu-soap, il film ci mostra la vita di campagna intervallando scene cruente di abbattimento degli animali a idilliche cavalcate sotto il sole. Ma le competenze agricole non bastano a fare un film.

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Una rondine farà anche primavera, ma non fa un film. La rondinella in questione è Sandrine, giovane donna determinata ad abbandonare la città per gestire un’azienda agricola. Tenace e volitiva, in un batter d’occhio la nostra eroina trasforma il fienile di una fattoria nel Rhones-Alpes in un “gite de France” prestigioso dove ospita cittadini stanchi e bambini curiosi, vende formaggi via internet, fa marmellate, e resiste con fierezza all’ostilità burbera del vecchio proprietario, con cui deve disgraziatamente convivere per un annetto. Un po’ Heidi un po’ docu-soap, il film ci mostra la vita di campagna intervallando scene cruente di abbattimento degli animali a idilliche cavalcate sotto il sole. Intanto all’anziano convivente viene un infarto, ma Sandrine, caparbia, va avanti per la sua strada insieme alle sue caprette. Inutile dire che i due personaggi sono destinati ad avvicinarsi e piacersi. In realtà, una sceneggiatura migliore avrebbe potuto tirare fuori qualcosa dal rapporto tra queste due figure forti e antitetiche, di generazioni e ambienti opposti, nonché di due sessi diversi. Oltretutto, per una volta, il sesso non ci si metteva di mezzo. Insomma non era un “Nelly et Monsieur Arnaud” arcadico (troppa grazia, in realtà), e nemmeno l’incontro scontato (due cuori e una capanna) tra un uomo e una donna, ma il confronto tra due persone nell’isolamento spaziale e temporale. Peccato che la storia ci venga buttata li, e poi non proceda. Inizio, svolgimento, fine, come un bel temino, corretto e senza concessioni alla fantasia, con tutti i giusti riferimenti all’attualità (internet, la mucca pazza, la moda dell’agriturismo) ma sostanzialmente privo di corpo.
Michel Serraut è poliedrico, bravissimo, ha l’aria di avere fatto sempre e solo il contadino dal viso rugoso e bruciato dal sole. Ma questo lo sapevamo già. E le prove d’attore non riescono a sostenere due ore di film in cui le stagioni si succedono lente tra semine e mungiture, ma l’evoluzione psicologica dei protagonisti non è mai legittimata, nemmeno nell’insipido finale. Di questo passo è molto difficile stare dietro alle lacrime di lei o ai monologhi interiori di lui, dove si tira addirittura in ballo la divinità rimproverandosi di non essere abbastanza dolce con una ragazza francamente insopportabile. Il tutto è aggravato dal fatto che, panorami e routine agreste a parte, l’intero plot si regge su questi due soli personaggi, tirando fuori da un avaro cilindro solo qualche comprimario qua e la: un ex amante che compare occasionalmente, del tutto inutile all’economia narrativa, e un simpatico contadino al cui cane (bellissimo per la verità) è affidata fiaccamente la sola (reiterata) gag del film, il non voler scendere dalla lussuosa macchina nuova del suo padrone, a cui non faremo pubblicità perché ci pensa già abbondantemente il regista.
Nell’immaginare un personaggio che fa il percorso inverso al suo (dalla città alla fattoria), Christian Carion, fuggitivo della campagna di cui è originario, sa di cosa parla. Un po’ meno esperto ci appare nel gestire la materia cinematografica di questa sua opera prima, dove le competenze agricole purtroppo servono a poco.

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Titolo originale: Un hirondelle a fait le printemps
Regia: Christian Carion
Sceneggiatura: Michel Carrion, Eric Assous
Fotografia: Antoine Héberlé
Montaggio: Andrea Sedlàckovà
Musica: Philippe Rombi
Scenografia : Jean-Michel Simonet
Suono: Pierre Mertens
Interpreti: Mathilde Seigner (Sandrine), Michel Serraut (Adrien), Frédéric Pierrot (Gérard), Jean-Paul Roussillon (Jean), Françoise Bette (madre di Sandrine), Marc Berman (insegnante)
Produzione: Christophe Rossignon
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 103’
Origine: Francia, 2000

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