“Pier Paolo Pasolini e le ragioni di un sogno” di Laura Betti

Frammentario ma coerente al pensiero del personaggio, il film della Betti strappa dal silenzio sacrale della tomba il corpo di Pasolini e lascia che si rappresenti da sé, mostri lo scandalo della sua esistenza e quella di una memoria storica tradita

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Nessun compiacimento estetico-formale per il documento, nessun narcisistico piacere per la ricostruzione storica dei fatti, per il feticismo dei dettagli o per la loro esatta disposizione spazio-temporale. Il cinema, per Laura Betti, è ancora sogno, magia, meraviglia, pur nella sua predisposizione a registro della realtà. Ma se la cineasta italiana non non cede alla tentazione storiografica del film-documento, rinuncia anche alla seduzione di un film di denuncia, sul genere del mal riuscito “Pasolini, un delitto italiano”, dando vita invece ad un’opera complessa, per certi versi indefinibile, che li contiene entrambi ma li supera coscientemente rivelando, con inaspettata immediatezza, una passione, una comprensione e un rispetto profondo nei confronti dell’intellettuale friuliano. Il suo volto ossuto, spigoloso, la sua oscena presenza oltre la morte. La Betti strappa dal silenzio sacrale della tomba il corpo di Pasolini e lascia che si rappresenti da sé, mostri lo scandalo della sua esistenza e quella di una memoria storica tradita. Filmati televisivi, interviste rilasciate da amici ed estranei, sequenze di film (“Uccellacci e Uccellini”, “Accattone”, “Teorema”) e di messe in scena teatrali, dichiarazioni pubbliche e private. La vita di Pasolini si riscostruisce in maniera dialettica-dialogica, attraverso l’articolarsi di visioni del presente e del passato, reali ed immaginari e mediante l’incontro con l’altro, giovane/vecchio, amico/nemico, uomo/donna, in una sorta di delirio poetico, di patchwork linguistico e figurativo a cui lo spettatore/lettore/uditore deve prendere parte attivamente, per conferire ogni volta un senso, un’interpretazione, un ordine, in nome di quel dubbio critico e metodologico che ha caratterizzato l’azione ideologica e rivoluzionaria di Pasolini.
Frammentario, incompleto ma profondamente coerente al pensiero di questo straordinario personaggio, il film di Laura Betti lascia che la voce di Pasolini incida la carne, il paesaggio filmico, la animi, la scuoti, la vivifichi come strumento estatico che a volte commenta le immagini, altre volte si sovrappone ad esse, altre volte ancora le accompagna, producendo un effetto straniante. Una voce viva che contrasta con le immagini morte e per questo drammaticamente dolorosa. Una voce che induce alla riflessione di ciò che accade ed accadrà, oltre a ciò che è accaduto, e ci abbandona, commossi, ma presenti a noi stessi, nel silenzio inerme di un poltrona.

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