"Pretty Princess" di Garry Marshall

Depistante remake di "Pretty Woman" in un cinema forzatamente demodé ma mai sepolcrale che lascia riemergere, intatte, tutte le sue forme e i suoi corpi

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Ancora nel segno di metamorfosi/iniziazioni sul modello di “Pretty Woman”. Se l’ultimo film di Garry Marshall, “Se scappi ti sposo”, poteva considerarsi un falso sequel del film realizzato dal regista nel 1990, questo “Pretty Princess” può leggersi quasi come una sorta di depistante remake. Forse anche la ripetizione della parola “pretty” nel titolo non è casuale. C’è dietro ancora un lavoro di trasformazione sul corpo: la prostituta Julia Roberts che veste i panni di una donna della buona società; la quindicenne Mia Termpolis di quest’ultimo film che da impacciata liceale si trasforma in una specie di leggiadra e giovane principessa del piccolo principato europeo di Genovia. Certamente nella riproposizione di uno schema narrativo, “Pretty Princess” soffre di una prevedibilità nelle nuova re/incarnazione di un mito ancora a metà tra “Cenerentola” e “My Fair Lady”, con la presenza, ancora una volta, di un Pigmalione nel corpo riciclato di Hector Helizondo (direttore d’albergo in “Pretty Woman”, addetto alla sicurezza e autista/amante della regina in “Pretty Princess”). Tuttavia in Marshall c’è quella spudoratezza moderna di far rivivere la fiaba in ambienti e luoghi contemporanei, dichiaratamente spogliata daquella carnalità dei prodotti realizzati dalla Disney soprattutto negli anni ’60. Da questo punto di vista, la stessa presenza di Julie Andrews (che era un po’ l’icona di un'immagine a metà tra la favola e la realtà come in “Mary Poppins” e in “Tutti insieme appassionatamente”), è punto di passaggio e segno di distacco. “Pretty Princess” inoltre combina quel teenager-movie tipico degli anni ’80 (le sequenze nel college che sembrano provenire da un film di John Hughes o una nuova rivisitazione di “Bella in rosa” di Howard Deutch) con quei luoghi che hanno un riflesso presunto sulla dimensione urbana come nelle favole sentimentali degli anni Cinquanta come “Vacanze romane”. Roma nel film di Wyler. San Francisco in quello di Marshall.
Alla fine ha un aspetto forzatamente demodé “Pretty Princess”. Un cinema “già esistito” ma mai sepolcrale che lascia riemergere intatte le sue forme e i suoi corpi come nella sequenza in cui Mia viene tradita dagli amici e circondata dai fotografi durante una festa sulla spiaggia (il mito dei paparazzi e della Dolce Vita?). Senza nessuna fantasia, è chiaro, ma anche con una capacità propria di Marshall che riesce a raggiungere direttamente i personaggi e a cogliere quelle corrispondenze intime (il rapporto tra Mia e la madre pittrice, la lettera del padre) soprattutto al di fuori di un tessuto narrativo che deve per forza materializzare elementi onirici rassicuranti, già scritti da un narratore incarnato dal vicino di casa di Mia.

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Titolo originale: The Princess Diaries
Regia: Garry Marshall
Sceneggiatura: Gina Wendkos dal romanzo di Meg Cabot
Fotografia: Karl Walter Lindenlaub
Montaggio: Bruce Green
Musica: John Debney
Scenografia: Mayne Schuyler Berke
Costumi: Gary Jones
Interpreti: Julie Andrews (Regina Clarisse Renaldi), Anne Hathaway (Mia Termopolis), Hector Elizondo (Joe), Heather Matarazzo (Lilly Moscovitz), Caroline Goodal (Helen, madre di Mia), Mandy Moore (Lana Thomas), Robert Schwartzman (Michael Moscowitz), Terry Wayne (Clark), Erik von Detten (Josh Bryant), Patrick Flueger (Jeremiah Hart), Sean O’Bryan (Mr. O’Connell)
Produzione: Debra Martin Chase, Whitney Houston, Mario Iscovich per Bottom of the Ninth Productions/BrownHouse Productions/Walt Disney Pictures
Distribuzione: Buena Vista International Italia
Durata: 114’
Origine: Usa, 2001

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