“Canicola” di Ulrich Seidl

L’urlo dei personaggi del film si perde in una mìse en scene che ha lo sgradevole sapore dell’autocompiacimento estetico. Dunque, nessuno “scandalo al sole”: tutto si appiattisce in un teatro della crudeltà che ha dimenticato Artaud

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E’ irrespirabile l’aria che attraversa le inquadrature di “Canicola”, lungometraggio del documentarista austriaco Ulrich Seidl, che si è aggiudicato il Gran Premio della Giuria all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Bruciano ossigeno queste sequenze di vita quotidiana, fotografie a colori di una provincia viennese degradata e disumanizzata, ricca e borghese banlieue abitata da storie di violenza e soprusi, intolleranza e abusi sessuali. Un universo di ordinaria disperazione dove la macchina da presa di Seidl si muove come il bisturi o il microscopio di un entomologo: setaccia e osserva un formicaio di esseri umani, individua e isola focolai d’infezione sociale, scorie di intolleranza razziale, germi di un orrore nazionalista che evoca i tanti proclami di Haider.
Ma il sole dell’estate austriaca corrode gli strumenti chirurgici e offusca la vista, e l’afa della canicola avvolge ogni fotogramma, surriscalda toni e registri di questo “falso” documentario. Mentre lo sguardo suda, naufraga fra i corpi nudi che affollano il set, a tratti impreca e chiede di essere salvato da una fiera di carne bruciata ed esibita senza pudore, fra membra stanche e volti che sfuggono ad un obiettivo incapace di cogliere un solo battito vitale.
Ma è un grido inascoltato: perché gli short cuts di Seidl sembrano inguaribilmente colpiti da afasia, muti e soffocati da una regia che non conosce l’antica arte della distanza fra rappresentazione e oggetto rappresentato, corpo e schermo. Come nei perversi e sgradevoli giochi estetici orchestrati da Michael Haneke, altro regista di punta dell’attuale cinema austriaco, l’urlo dei personaggi di “Canicola” si perde in flatus vocis, in una mìse en scene che ha lo sgradevole sapore dell’autocompiacimento estetico. Dunque, nessuno “scandalo al sole”: tutto si appiattisce in un teatro della crudeltà che ha dimenticato la lezione “fisica” di Artaud, in una scrittura filmica che non conosce l’ironica profondità dei ritratti sociali tratteggiati dalla penna di grandi autori contemporanei di lingua tedesca come Handke, Böll o Dürrenmatt.
Qui è sempre e solo questione di aria e ossigeno. “Canicola” vorrebbe viaggiare sottopelle, fra ulcere e lacerazioni della middle-class austriaca, ma quando lo sguardo affonda, l’occhio rimane impigliato negli abissi, colpito da embolia non riesce ad emergere, a trovare un respiro. Non riesce più a toccare la superficie, quel sottile e umanissimo strato di celluloide chiamato cinema.

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