CinemAsia – Autori emergenti coreani

December

Quattro film, documentari e di finzione, che rappresentano il costante spirito di rinnovamento del cinema coreano: Grandma – Cement Garden, Groggy Summer December e My Place prospettano approcci inediti, con uno sguardo indipendente e a basso budget sul mondo. La rubrica è a cura di www.asiaexpress.it

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DecemberL'industria cinematografica coreana è in perenne fermento, apparentemente sempre in crescita, grazie a politiche di incentivo oculate, a scuole di cinema rigorose e alle molte possibilità, a partire da cortometraggi e festival che sanno mettere in risalto le tante specificità. Dietro ai successi e ai film più commerciali si nasconde comunque un insieme di produzioni indipendenti o a basso budget che meritano di essere conosciute, come ogni anno dimostra il Jeonju International Film Festival, conclusosi lo scorso 3 maggio. Famoso per il Digital Project, che a ogni edizione riunisce tre cineasti internazionali perché creino un omnibus a tema, presenta anche sezioni specifiche dedicate alle novità coreane. Nella sezione competitiva sono ad esempio stati presentati quattro lungometraggi, due di finzione e due documentari, che pur nelle diversità di risultati rappresentano uno specchio delle potenzialità dei nuovi autori locali. Tra i documentari, Grandma – Cement Garden racconta di un quartiere prima del suo definitivo abbattimento, mentre My Place di una gravidanza inaspettata. Tra i film di finzione, Groggy Summer segue un giovane aspirante poeta, mentre December intesse gli alti e bassi della possibile nascita di una relazione amorosa. Film molto diversi, ma già maturi e compiuti, nonostante la (relativa) giovinezza dei registi.

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Grandma - Cement GardenGrandma – Cement Garden di Kim Ji-gon è uno spaccato di desolazione periferica ambientato nel quartiere in dismissione di San-bok-do-ro a Busan, destinato all'abbatimento per i nuovi piani di sviluppo. Inizia con una inquadratura fissa di erbacce che crescono nel cemento, accompagnata dal rumore persistente del vento, e si conclude con una serie di inquadrature fisse di vicoli e vedute suburbane, senza sonoro. Nel mezzo una serie di siparietti con anziani del luogo e giovani che parlano intorno al cibo o in mezzo alla strada degli argomenti più disparati e inconsequenziali, dalla politica alle calvizie, dai modi per predire il futuro guardando le persone ad acciacchi e malattie. Un anziano, ad esempio, si infervora sulle prossime elezioni presidenziali (che si sono tenute a fine 2012), e se la prende con il piccolo Hannara Party tanto quanto con Park Cheun-hye (candidata del partito conservatore, figlia del dittatore Park Chung-hee, poi risultata vincitrice). Un documentario a-narrativo ed episodico che non desta grande interesse, se non per la riuscita messa in scena della lenta disgregazione di una comunità ai margini, argomento caro al regista Kim Ji-gon, classe 1983, che aveva esordito nel documentario con un film sulla chiusura dei vecchi cinema sempre nella città di Busan.

groggy summerGroggy Summer di Yun Su-ik tenta un'incursione nei territori dell'insofferenza giovanile. Un gruppo di ragazzi è alle prese con la scelta sulla strada che prenderà la loro vita, in particolare Min-joon, aspirante poeta che non riesce a trovare sbocco alla sua passione e teme di finire come il padre, pittore squattrinato e fallito. Il giovane, ancora diciottenne, scappa di casa deciso a costruirsi un futuro, ma lavoro e prospettive non gli sorridono granché. Cade nell'illusione di poter pubblicare a pagamento le sue opere, ma inanella una serie di insuccessi che ne rivelano l'immaturità. La macchina da presa mobile segue dappresso i protagonisti, con inquadrature in primissimo piano di volti, spesso di spalle o da angolature insolite, a penetrare le espressioni e gli scambi di sguardi. Una scelta che rende il tono opprimente e insieme sfuggente, come quando si è troppo vicini a qualcosa per poterne distinguere i contorni, che si fanno sempre più sfocati. Così è Min-joon, idealmente seguito in ogni spostamento d'umore, incapace di concentrarsi su qualsiasi cosa, che sia un lavoro in un cantiere o il riportare la chitarra a un amico in difficoltà. Groggy Summer si limita all'esposizione dello spleen esistenziale di un giovane qualsiasi, distruggendone programmaticamente le impalcature che tengono insieme i suoi sogni. Non c'è bisogno di grandi drammi o svolte, basta la lenta presa di consapevolezza che per raggiungere il proprio sogno non ci si può limitare a inseguirlo in solitudine, impermeabili al mondo e ai suoi problemi. Una tesi interessante, viziata dall'uso insistito della macchina a mano e da una narrazione che tende all'esagerazione nell'iperbole finale, ma che consegna un regista giovane (nato nel 1985) a prove più complesse.

decemberDecember di Park Jeong-hoon sembra la solita storia romantica minimale, ma le aspettative di linearità e sentimentalismo di riporto sono stravolte da una messa in scena in sottrazione, che si concentra sui piccoli gesti insignificanti, e da una curata scansione che mescola i piani temporali, senza darne immediatamente conto. Suddiviso in capitoli che portano i nomi dei mesi, parte da gennaio, con un ragazzo e una ragazza che camminano in una notte nebbiosa: i due parlano, sembrano non conoscersi molto, elencano snack e si tengono per mano. A febbraio il contesto è completamente diverso, lui è su una sedia a rotelle, in convalescenza, mentre parla con un'altra ragazza, incontrata da poco. Park Jeong-hoon costruisce senso con pazienza, adeguandosi al ritmo e alle aspettative riflessive dei suoi protagonisti, senza concedere spazio ai cliché del genere, con una padronanza completa della narrazione: montaggio raffinato, fotografia dai colori saturi, inquadrature mobili che scelgono prospettive inconsuete a creare profondità di campo. I suoi giovani innamorati sono timidi, si illudono, si esasperano – a emergere è la loro intrinseca fragilità. Una fragilità propria anche del film, che è però capace di mettere a nudo amore e attrazione con freschezza quasi dolorosa. Resta la curiosità per i prossimi progetti dell'autore.

my placeInfine My Place, di Park Moon-chil, è un documentario familiare girato nel corso di diversi anni. Inizia seguendo la scelta della sorella del regista di avere un bambino nonostante non sia sposata, occasione per approfondire le reazioni dei genitori, e di conseguenza le loro storie. Park risale a ritroso nel tempo, mentre la gravidanza si trasforma in parto e nella cura genitoriale, per capire le cause dello spaesamento che stanno dietro alle decisioni di chi gli è più vicino. Nato in Canada, cresciuto in Corea, il regista, come la sorella, come i genitori, è infatti costantemente diviso, senza un posto definit(iv)o. Il documentario diventa allora un momento puro di riflessione su quale sia il proprio centro nel mondo, su cosa siano le norme sociali – quelle che hanno impedito alla madre di lavorare alla pari degli uomini, quelle che hanno impedito alla sorella di integrarsi nel sistema scolastico coreano, ad esempio – sulle ragioni dietro agli scoppi d'ira e alle aspirazioni di chi ci circonda, sul senso identitario che bisogna ricercarsi e costruirsi da soli. Un viaggio lieve, pur appesantito da un costante voice over, talvolta invadente, che infine svela il suo fulcro: scoprire gli altri non è altro che arrivare a capire sé stessi, in questo caso le ragioni dietro al proprio tentativo di integrarsi in Corea. My Place è un documento toccante e profondo, capace di toccare temi importanti a partire dal personale.

 

La rubrica è a cura di www.asiaexpress.it

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