#Venezia74 – Una famiglia. Incontro con Sebastiano Riso e Micaela Ramazzotti

Arriva in concorso il film che riunisce l’accoppiata regista-attrice di Prima di mezzanotte. La storia di un amore morboso nella cornice del mercato nero delle adozioni illegali. In sala 28/9

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“Sin dai tempi di Prima di mezzanotte, tra di noi si è creato un rapporto unico”, rivela Micaela Ramazzotti ai giornalisti del Lido, raccontando di Una famiglia, il nuovo film di Sebastiano Riso presentato oggi in concorso. “Si tratta sicuramente del regista più libero, spudorato e determinato con cui abbia mai lavorato, di solito sui set io sono un po’ la bambina dei grandi registi per cui recito, ma essendo più grande di Sebastiano, con lui mi sento amata e capita come donna. In questo film lui ha colto un aspetto inedito ma fondamentale di me, il mio lato primitivo”.
Per fare questo, Riso racconta la storia di una coppia “legata morbosamente dalle dipendenze reciproche”, di cui la protagonista Maria lotta per liberarsi: “questo non è un film incentrato sull’utero in affitto o sulle adozioni illegali”, spiega Riso, “ma un tentativo di raccontare, partendo da quegli spunti, il tempo del nostro Paese, la difficoltà di essere genitori oggi”.
Quello che tutte le coppie mostrate nel film attraversano è “un calvario comune”, spiegano gli sceneggiatori Andrea Cedrola e Stefano Grasso. “Già nel titolo è suggerita la domanda chiave di queste storie: che cos’è oggi una famiglia? Ne vediamo vari esempi nell’umanità che l’opera racconta: la coppia omosessuale, spiega Riso, è dipinta “con normalità. Il politicamente corretto imperante dimostra soltanto che abbiamo ancora problemi con la messinscena dell’omosessualità”.

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Nonostante l’attenzione a tematiche così intime e personali, il lavoro di ricerca di Una famiglia parte in realtà da indagini attraverso documentazioni, studio di intercettazioni telefoniche e una sorta di bisogno di scavare nella storia nascosta del mercato nero di bambini: “è vero, all’inizio un cartello avvisa che si tratta di un film tratto da storie vere”, ritornano Cedrola e Grasso, “ma quant’è davvero importante sapere quali elementi sono reali, e quali inventati? Sarebbe come accontentarsi di definire 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni di Mungiu come un film sull’aborto…”
Molta della tensione del film è caricata sulle spalle dei due protagonisti, Ramazzotti e l’attore francese Patrick Bruel, per la prima volta in carriera impegnato in un ruolo così oscuro e arcigno: “ho lasciato libertà di movimento assoluta ai due attori”, spiega Riso, “costruendo intorno a loro una scenografia a 360° dentro cui l’operatore Piero Basso inseguiva le traiettorie nello spazio dei due interpreti attraverso le indicazioni che gli dettavo via auricolare, dal monitor”.
E’ in questo modo che l’attrice protagonista può donare corpo a questa ennesima figura di madre nella sua filmografia: “non amo le eroine, ma questi personaggi disperati, ai margini. Mi sento la portavoce di tutte le madri a cui ho dato volto”, spiega Micaela Ramazzotti, “come anche di questa madre bambina: per me è una maniera per difendere chi nella vita non ha possibilità di farlo da sé.”

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