“Rat Race” di Jerry Zucker

Dietro quell’anima demenziale che aveva caratterizzato i film diretti col fratello David e Jim Abrahams, che riemerge nella follia di una scrittura volutamente scombinata e irresistibile, "Rat Rase" è in realtà un’opera teorica sul voyerismo

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C’è un tratto distintivo che accomuna due film diversissimi attualmente in sala: “Rat Race” di Jerry Zucker” e “Behind Enemy Lines – Dietro le linee nemiche” di John Moore. Si tratta di corpi completamente manovrati da altri corpi, quasi privati anatomicamente di una loro spina dorsale per assemblarli quasi a icone a metà tra il fumetto e il videogioco. Corpi continuamente guardati, osservati nei loro movimenti (il comandante Reigart che guarda le prove di sopravvivenza del pilota Burnett in “Behind Enemy Lines”, gli eccentrici miliardari che seguono i movimenti dei malcapitati giocatori attraverso delle telecamere in “Rat Race”). Il film di Zucker, dietro quell’anima demenziale che aveva caratterizzato le opere che aveva diretto col fratello David e con Jim Abrahams (“L’aereo più pazzo del mondo”, “Top Secret!” e “Per favore, ammazzatemi mia moglie”) che riemerge nella follia di una scrittura volutamente scombinata e quindi irresistibile, è in realtà un’opera teorica sul voyerismo, con i protagonisti che possiedono la stessa inconsapevolezza di “The Truman Show” di Weir ma anche quel cinismo ludico di “Una poltrona per due” di Landis (anche in quest’ultimo film i miliardari si pongono come giocatori/burattinai). Ci sono traiettorie impazzite dentro “Rat Race” dove, dopo un prologo che fatica un po’ ad assemblare i movimenti dei diversi personaggi, viene frantumata ogni logica visiva in una folle corsa dove vince chi raggiunge per primo Silver City, in Messico. I movimenti di Zucker seguono percorsi orizzontali, obliqui (madre e figlia che entrano in un auto superveloce e gareggiano quasi con la velocità del suono) e soprattutto verticali (la sublime sequenza della mucca che viene dal cielo e da dove il film comincia davvero a decollare). Opera dove nel fuori-campo c’è sempre una minaccia, un evento imprevedibile e dove c’è un voluto scarto tra ciò che guarda lo spettatore e ciò che guardano gli scommettitori miliardari, capitanati da un grande John Cleese nel ruolo del proprietario di un casinò di Las Vegas. Ma in Zucker non riemerge solo la struttura demenziale, ma anche quel personale lavoro sui generi come era già avvenuto col film fantastico sentimentale (“Ghost” nel 1990) o epico-avventuroso (“Il primo cavaliere” del 1995). E più che alla velocità non-direzionale collettiva di “La corsa più pazza d’America” di Hal Needham, “Rat Race” sembra rifarsi anche a quelle forme quasi slapstick di “La grande corsa” di Blake Edwards – dove la trama è spesso subordinata alla gag – o le forme surreali della caccia al tesoro di “Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo “ di Stanley Kramer. Quindi Zucker riguarda a certe commedie d’autore degli anni Sessanta, che gioca su un cast collettivo (dove stona solo Rowan “Mr. Bean” Atkinson, fortunatamente ignorato per buona parte del film) e che porta al livello-limite quell’euforia coinvolgente come nel finale con i personaggi che si trovano in un altro set, sul palco di un concerto degli Smash Mouth che eseguono un loro successo.Titolo originale: Rat Race
Regia: Jerry Zucker
Sceneggiatura: Andy Breckman
Fotografia: Thomas E. Ackerman
Montaggio: Tom Lewis
Musica: John Powell
Scenografia: Gary Frutkoff
Costumi: Ellem Mirojnick
Interpreti: Whoopi Goldberg (Vera Baker), John Cleese (Donald Sinclair), Cuba Gooding jr. (Owen Templeton), Rowan Atkinson (Enrico Pollini), Breckin Meyer (Nick Schaffer), Jon Lovitz (Randy Pear), Seth Green (Duane Cody), Kathy Najimy (Bev Pear)
Produzione: Jerry Zucker, Janet Zucker, Sean Daniel, Richard Vane
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 112’
Origine: Canada/Stati Uniti, 2001

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