Racconti morali in cromatismi splendenti: Ousmane Sembene

Il cinema ha perso uno dei suoi uomini più rigorosi e esigenti. Se n'è andato a 84 anni un regista anomalo, che arrivò tardi al cinema, a 40 anni, perché, a un certo punto della sua vita, e in un continente ad alto tasso di analfabetismo come quello africano, si rese conto che "il film può, più che il libro, cristallizzare una presa di coscienza"

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"Quello che mi interessa è esporre i problemi del popolo al quale appartengo. Non cerco di fare del cinema per i miei piccoli compagni, per un circolo ristretto di iniziati. Per me, il cinema è un mezzo di azione politica, ma tengo ad aggiungere che non voglio fare un cinema di dichiarazioni".

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Sta qui, in questa intensa e frontale espressione poetico-politica, il senso più profondo e al tempo stesso immediato dell'opera filmica di Ousmane Sembene, colui che ha iniziato e reso adulto, consapevole, il cinema dell'Africa sub-sahariana con una serie imprescindibile (nove lungometraggi e otto cortometraggi realizzati fra il 1963 e il 2004) di testi dai quali far ri-esistere la Storia e il popolo, senegalese e africano, nelle immagini di una filmografia in viaggio fra le epoche, inscritta nel realismo e nella favola, nell'esasperazione grottesca, abitata da memorabili figure femminili, alle quali Sembene ha sempre riservato uno sguardo speciale. Da sabato scorso il cinema, non solo quello delle Afriche, ha perso uno dei suoi uomini più rigorosi e esigenti. Se n'è andato, a Dakar, all'età di 84 anni, un regista anomalo, che arrivò tardi al cinema, a 40 anni, perché, a un certo punto della sua vita, e in un continente ad alto tasso di analfabetismo come quello africano, si rese conto che "il film può, più che il libro, cristallizzare una presa di coscienza" (come disse in una conversazione con Pierre Haffner – altra appassionata figura che ha legato il suo vivere e lavorare al cinema africano, studioso francese prematuramente scomparso).

Nato a Ziguinchor, nella Casamance, nel 1923, figlio di pescatori wolof, Sembene fin da ragazzo svolge ogni tipo di lavoro manuale, in Senegal e in Francia. Nel 1942 si arruola come artigliere nell'esercito coloniale francese, combattendo in Italia e in Germania. Nel 1946 si imbarca clandestinamente per la Francia, lavorando come operaio a Parigi e scaricatore di porto a Marsiglia. Militante politico, sindacalista, dal 1950 al 1960 è iscritto al Partito Comunista Francese. Esperienze indispensabili delle quali si troveranno tracce nella sua opera artistica, prima letteraria e infine cinematografica. Nel 1956 esce il suo primo romanzo di ispirazione autobiografica, Le docker noir. Dopo avere studiato cinema al Vgik di Mosca rientra in Senegal all'inizio degli anni Sessanta e, come giornalista, testimonia le drammatiche condizioni del Congo belga durante una sua visita a Leopoldville. Lì conosce Patrice Lumumba e quel viaggio, quell'incontro, sono il preludio a una nuova fase creativa per Sembene. Ha 40 anni e cinque romanzi o raccolte di novelle pubblicati. "Ho preso coscienza che, al di là della letteratura, non c'era che il cinema per noi. Sono tornato a Parigi con il desiderio di imparare a fare cinema. Avevo quarant'anni, le persone dicevano: 'Ma alla tua età non metterti a fare del cinema!'. Non c'è età per la stupidaggine, tantomeno non c'è età per imparare!".


E l'inizio è sorprendente. La filmografia di Sembene, nella quale spostare le riflessioni sull'uomo e sulla politica, sulla Storia e sulle responsabilità del colonialismo, si avvia tra il 1962 e il 1963, periodo in cui il regista senegalese realizza il suo primo cortometraggio, Borom Sarret (Il carrettiere), capolavoro di tutta una filmografia, insuperato per libertà creativa, respiro figurativo, agilità nel far confluire in poche inquadrature una sovversione, con indelebili tocchi di humour, per le strade di Dakar. Neorealismo e nouvelle vague convivono nella descrizione di squarci di un'umanità povera e precaria, qui un carrettiere cui le autorità confiscano il carretto perché si è spinto nei quartieri ricchi, e vietati ai carrettieri, della capitale. Fin da subito Sembene si pone come anticipatore nel cinema prodotto e realizzato nell'Africa sub-sahariana. Borom Sarret non segna solo l'avvio di una delle filmografie più appassionanti del cinema africano, ma testimonia la nascita vera e propria di una cinematografia, quella appunto dell'Africa Nera.

Esordi. Primi passi. Percorsi nei quali fare confluire esperienze e ricerche. Le opere di Sembene costituiscono esemplari racconti morali da visualizzare in cromatismi splendenti, si tratti del bianconero luminoso dei primi film o dei colori della contaminazione o del rigore dei lavori successivi. Spesso ispirati a suoi racconti o romanzi. Come nel caso de La noire de… (tratto dall'omonimo racconto contenuto nel volume Voltaïque e basato su un fatto di cronaca), del 1966, suo esordio nel lungometraggio. Un'opera di assoluta modernità dove si conferma lo sguardo di un autore che sa filmare con rigore espressivo l'essenziale e cogliere la disperazione della sua società, qui nel ritratto di una giovane senegalese che, attratta dal miraggio di una vita agiata sulla Costa Azzurra, accetta di lavorare come domestica in una villa, dove vivrà da reclusa, fino al suicidio. La noire de… (riconosciuto come il primo lungometraggio del cinema dell'Africa nera) è un film sulla fine del sogno, sull'impossibilità della fuga, come accadeva in Borom sarret e come accadrà in testi seguenti perché il cinema di Sembene – satira o tragedia spietata – documenta, nella finzione o nel documentario riaffiorante dalla finzione, sbarramenti alla fuga, impossibilità dei corpi di uscire da un'inquadratura. I corpi, e i personaggi, sono immobilizzati in un percorso rituale dal quale non si può scappare, che li porta al suicidio (La Noire de…), alla prigionia del fermo immagine (Xala), alla morte in un luogo desertico recintato e cimiteriale (Campo Thiaroye).

Sono sempre questioni urgenti, quelle affrontate da Sembene nei suoi lavori. Con Mandabi (Il vaglia, 1968), suo primo film a colori, parla di disoccupazione e, utilizzando il grottesco, delle conseguenze della burocrazia sulla vita quotidiana di un uomo. Emitaï (Dio del tuono, 1971), ambientato durante la seconda guerra mondiale in un villaggio della Casamance saccheggiato dall'esercito francese, è un film corale fatto di rituali e di una ribellione interiore e fisica attuata con tutte le forze. Gli orrori della guerra coloniale, già accennati nel sublime cortometraggio Niaye (1964), trovano in Emitaï uno sviluppo significativo, raccontati in un testo dove la durata delle scene è dilatata, come a testimoniare un incubo senza fine. Immagine espansa, segno dell'opera di Sembene, da Mandabi, dove il protagonista non riesce a uscire dai labirinti burocratici, a Xala (Impotenza sessuale temporanea, 1975), satira del potere in cui un esponente della nuova borghesia africana viene colto da impotenza, metafora di quella della classe politica e sociale (indimenticabile la scena finale, fino al fermo immagine, con l'uomo ricoperto di sputi dalle persone che lo circondano). Altri abusi di potere sono narrati in Ceddo (Il popolo, 1977), censurato in Senegal, dove una comunità è minacciata sia dall'Islam sia dalla schiavitù e dal cattolicesimo europei, e in Campo Thiaroye (1987, co-regia di Thierno Faty Sow), in cui Sembene filma l'attesa di un massacro in un campo di prigionia per soldati senegalesi alla fine del secondo conflitto mondiale. Guelwaar (1992) è il ritratto di un'Africa che si confronta con la propria dignità e con la retorica degli aiuti umanitari, mentre con Fat Kiné (2000) e Moolaadé (2004) il cineasta aveva riportato le donne al centro del suo cinema, componendo intensi ritratti di figure femminili in lotta per la propria indipendenza, a Dakar (Fat Kiné) o in un villaggio (Moolaadé). Film, quest'ultimo, in cui Sembene affronta il tema dell'escissione, di drammatica e tragica attualità, in un nuovo poema sulla condizione femminile e sulla ribellione delle donne ai poteri più brutali perpetrati nel nome della tradizione. Cinema, da Borom sarret a Moolaadé, ancora e sempre, radicato negli elementi, materialista, epico, di inesauribile "azione politica".

Ousmane Sembéne at SF International Film Festival (1993)


 


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The great Senegalese director Ousmane Sembéne receives the Akira Kurosawa award at the 1993 San Francisco International Film Festival.  

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