"WALL-E", di Andrew Stanton

Una vera e propria esperienza sensoriale quella in cui WALL-E invita ad immergersi, che raccoglie in ogni fotogramma una densità incredibile di sollecitazioni di diversa natura, portando il cinema della Pixar ad un livello successivo. Più punti di vista convergono, coincidono, rimandando così allo spettatore un’immagine potenziata, multi sfaccettata, ma mai mediata, sempre diretta al cuore

 

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WALL-EAssenza. Di vita, di contatto, di parole. Di gravità. Spazio immenso, infinite possibilità di movimento. L’occhio (della macchina da presa, del robot, dello spettatore), si sposta da un lato all’altro dello schermo. Si avvicina, per vedere meglio, alla ricerca di immagini familiari a cui sovrapporre, far corrispondere dei significa(n)ti. Sembra di scorgere una strada, più strade, un palazzo, più palazzi, una città. Sono solo forme, che richiamano alla mente i contorni sbiaditi di un’umanità scomparsa chissà dove, oggetti catalogati senza padroni, ammasso di spazzatura, di materia. Nell’oscurità dell’ignoto una luce, mille luci che paiono stelle, per illuminare un universo vecchio di secoli. La fiamma di un accendino, capace di illuminare la speranza, di accendere nel cuore l’emozione della curiosità, per tendere il proprio sguardo verso l’infinito e oltre.

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Una vera e propria esperienza sensoriale quella in cui WALL-E invita ad immergersi, che raccoglie in ogni fotogramma una densità incredibile di sollecitazioni di diversa natura, portando il cinema della Pixar ad un livello successivo. È con sguardo sempre vergine che Stanton si muove tra le invadenti scorie di un pianeta Terra popolato solo di rottami, misurando cautamente l’ampiezza dei propri passi, con l’incertezza di chi non sappia ancora fino a che punto sia lecito spingersi. Sperimenta, assieme all’ultimo robot testimone dell’assenza dell’uomo, l’ebbrezza di una corsa cingolata, respira insieme a lui l’alba di un nuovo giorno intrisa di pulviscolo, si meraviglia dell’immensità dell’universo, alzando gli occhi verso l’alto, in volo attraverso le galassie. Più punti di vista convergono, coincidono, rimandando così allo spettatore un’immagine potenziata, multi sfaccettata, ma mai mediata, sempre diretta al cuore. Un mondo, quello dell’ultima opera firmata Pixar, in cui tutto accade nell’attimo stesso in cui l’occhio riesce a coglierlo, nel preciso istante in cui lo spettacolo digitale prende forma sul grande schermo, ogni volta come fosse la prima. Un mondo che deve essere guardato per essere (ri)conosciuto, (ri)catalogato per essere salvato. Ed è il come che importa, il mezzo (digitale) che permette di guardare cose conosciute e già dimenticate come fossero del tutto nuove, che dona alla danza di due robot fatti di ferraglia, di luci e suoni, la levità e il calore della carezza del vento, che fa di un estintore un motore a propulsione nello spazio sconfinato, che trasforma un incontro fortuito nella fonte di una nuova speranza.

Dopo Ratatouille, non poteva esserci altro che WALL-E. Necessaria conseguenza dell’evolversi delle tecniche di animazione 3-D, coniuga l’impressionante qualità e fluidità delle immagini generate al computer con la semplicità, azzerando quasi completamente la componente verbale (come nel cortometraggio Presto che precede il film) e puntando quindi sulla capacità mimica dei gesti dei personaggi e sulla forza evocativa dei suoni, descrittivi e non, per suggerire sensazioni e trasmettere emozioni. Passato e futuro coincidono, scambiandosi i ruoli. Pur essendo proiettato in un futuro dal quale la realtà presente è separata da centinaia di anni, si rivolge al passato (dell’umanità, del cinema, dell’animazione), inteso come ritorno ai luoghi d’origine, all’essenza, di sentimenti e parole, al significato dell’esistenza.

 

 

Titolo originale: id.

Regia: Andrew Stanton

Distribuzione: Walt Disney Pictures

Durata: 98’

Origine: USA, 2008

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