NSOE – "Triomf", di Michael Raeburn

treppie_lambert_dog_how Triomf di Michael Raeburn

È il nuovo lavoro di Michael Raeburn, uno dei cineasti più significativi, per il suo approccio poetico-politico, della cinematografia africana. Triomf è un film indipendente, radicalmente politico, esteticamente arrabbiato e confezionato come un horror, una tragedia greca montante ambientata nell’aprile del 1994 a Johannesburg, alla vigilia delle prime elezioni democratiche nella storia del Sudafrica.  GALLERIA FOTOGRAFICA – VIDEO

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treppie_lambert_dog_how Triomf di Michael RaeburnSarà nelle sale sudafricane, in contemporanea a Città del Capo, Johannesburg e Pretoria, dal 20 febbraio. E a fine mese parteciperà, in competizione, al Fespaco, il biennale Festival del cinema panafricano di Ouagadougou. Dopo avere vinto l’anno scorso il premio per il miglior film sudafricano al Festival di Durban. In Italia sarà in anteprima al Festival del cinema africano, d’Asia e America Latina la cui diciannovesima edizione si svolgerà a Milano dal 23 al 29 marzo. È il nuovo, atteso lavoro di Michael Raeburn, uno dei cineasti più significativi, per il suo approccio poetico-politico al cinema, della storia della cinematografia africana, a partire dalla fine degli anni Sessanta, in particolare dello Zimbabwe (suo è il primo lungometraggio di finzione di quel paese, Jit, del 1990).

Raeburn torna con Triomf, un film indipendente, radicalmente politico, esteticamente arrabbiato e confezionato come un horror, una tragedia greca montante che devasta i corpi dei personaggi e degli spazi, ristretti, claustrofobici, che essi abitano. Siamo nell’aprile del 1994 a Johannesburg, mancano sei giorni alle prime elezioni democratiche nella storia del Sudafrica, come ricorda una didascalia posta all’inizio, quelle che sanciranno l’ascesa alla presidenza di Nelson Mandela. E siamo nel quartiere di Triomf, come ricorda un’altra didascalia, in un incipit che potrebbe essere documentario ed è invece l’avvicinamento, attraverso brevi inquadrature, al luogo del dramma, la casa di una famiglia bianca sottoproletaria. Come sottoproletari sono tutti gli abitanti di quel quartiere, un tempo chiamato Sophiatown e abitato da neri, poi cacciati negli anni Sessanta. Sophiatown (si sarebbe ri-chiamato con il suo nome originario dal 2006) venne trasformato dal regime in zona destinata ai bianchi più poveri.

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TriomfCome lo zio Treppie, i coniugi Pop e Mol, il loro figlio epilettico Lambert che proprio la vigilia delle elezioni compirà 21 anni, raggiungerà la maggiore età. Coincidenza spietata, pre-testo che Raeburn elabora per raccontare una nazione colta nel suo istante di passaggio tutt’altro che indolore, fra declino e aspirazioni democratiche. Una famiglia violenta, incestuosa, complice, mentalmente e fisicamente devastata, proprio come la casa, quinto personaggio, anch’essa in disperate condizioni, fatta a pezzi dai quattro personaggi e da loro ri-messa insieme fino alla prossima devastazione imminente. Treppie, Pop, Mol, Lambert e la casa sono un corpo unico che Raeburn filma nella sua costante metamorfosi verso il totale disfacimento, un corpo horror che evoca Non aprite quella porta e La notte dei morti viventi – mentre attorno, eventi paralleli che si compenetrano con quella storia familiare, i segni del nuovo Sudafrica si affermano, tra manifestazioni di piazza pacifiste e nuovi inquilini neri, già innescando ulteriori, infinite tensioni…

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Girato in alta definizione e poi trasferito in 35mm, e tratto dall’omonimo romanzo di Marlene Van Niekerk, Triomf si avvale di un cast di interpreti di prima grandezza che con le loro performances moltiplicano il senso e il clima di disagio, orrore, degradazione filmato da Raeburn, spesso ricorrendo al grottesco per immergere ancora di più lo sguardo in quell’ambiente e far sentire tutta la fisicità e i suoi odori più malsani. Triomf è un film in odorama senza bisogno di effetti live. Con il suo sguardo ravvicinato, dentro e fuori quelle stanze, e con una complicità profonda e trasversale fra cinema e teatro, Raeburn costruisce un film che chiede la partecipazione di tutti i sensi. E i suoi attori (Lionel Newton/Treppie, uno dei principali attori sudafricani di teatro, televisione e cinema; Vanessa Cooke/Mol, figura fondamentale dello sviluppo teatrale sudafricano; Paul Luckhoff/Pop, veterano del teatro in lingua afrikaans; Eduan Van Jaarsveldt/Lambert, giovane attore che ha in filmografia Tsotsi di Gavin Hood e Goodbye Bafana di Bille August) sono lì a disegnare sui loro corpi, inquadratrura dopo inquadratura, l’ulteriore tappa di una mutazione già iniziata nel lungo, invisibile ma tangibile, fuori campo spazio-temporale che precede il film. E che continuerà, con/senza di loro, dopo il regolamento di conti finale e all’alba dei risultati elettorali, in quella stanza vuota dove un televisore trasmette le immagini delle persone esultanti per le elezioni vinte. Ultima immagine che sospende il film nel silenzio, verso altri fuori campi, altrettanto invisibili e tangibili.

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