"Io sono l'amore", di Luca Guadagnino

io sono l'amore luca guadagninoGli ingredienti base per potersi riallacciare alla tradizione delle grandi "saghe familiari" del cinema sono tutti presenti nel film di Guadagnino. E tuttavia l’incapacità di tenere in mano i fili della narrazione precipita la storia verso un’irritante immobilità. Da Venezia 66

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------
io sono l'amore luca guadagninoSi intravede nel film presentato all'ultimo Festival di Venezia dal regista Luca Guadagnino il tentativo di riallacciarsi alla tradizione delle “grandi saghe familiari” che in tante occasioni hanno permesso al cinema di guardare ad un microcosmo chiuso in sé stesso per ricercare la chiave di lettura di una società in trasformazione (il viscontiano La caduta degli dei ne è un esempio lampante).
Gli ingredienti base ci sono tutti: una ricca famiglia dell’alta borghesia imprenditoriale milanese, la riunione familiare da tenersi rigorosamente tra lo scintillio dell’argenteria appena lucidata e l’andirivieni della servitù al completo, il vecchio patriarca pronto a ritirarsi dalla scena per lasciare le redini del gioco nelle mani delle future generazioni e quella tipica, ipocrita coesione inter-individuale utile solo a mascherare delle ben più profonde lacerazioni.
A dispetto dell’apparente coralità del film, una figura spicca su tutte le altre. È quella di Emma (Tilda Swinton), moglie di Tancredi (Pippo Del Bono) designato, insieme al figlio Edoardo (Flavio Parenti), come erede alla guida della fabbrica di famiglia dal vecchio padre. È una figura border-line quella del personaggio interpretato dalla Swinton, dentro e fuori, nello stesso tempo, dal blocco marmoreo della famiglia. Il solo bagliore di luce che la donna riesce a scorgere oltre la cerchia dei suoi familiari è rappresentato dal giovane cuoco Antonio (Edoardo Gabriellini), amico del figlio Edoardo, con il quale Emma intrattiene una relazione extraconiugale. 
Impermeabilità. Questa è la parola chiave per connotare al meglio la famiglia Recchi. "Se vogliamo che tutto resti com'è, bisogna che -nulla – cambi" si potrebbe dire ribaltando il senso della celebre frase tratta dalla grande saga familiare di Tomasi di Lampedusa. Niente deve filtrare affinché non cedano di schianto le fragili fondamenta che ancora (per poco) sostengono il peso della disfatta.  Ma a cedere di schianto, a lungo andare, è il film.
E infatti sembra proprio che Guadagnino esaurirca qui tutte le sue possibilità, adagiandosi sull’aspetto decadente di una storia che stenta a decollare. Non c’è nessuna possibilità di volgere lo sguardo verso l’esterno, non una finestra per affacciarsi sulla realtà. Non c’è neppure uno sfondo sociale su cui riflettere. Ciò che ci viene posto davanti agli occhi è un affresco del tutto mancante di profondità. E se il senso claustrofobico generato nello spettatore si potrebbe anche ritenere funzionale alla narrazione, l’uniformità ritmica che ne scaturisce – e che a tratti rasenta la monotonia – non trova giustificazione alcuna e ci lascia nell’inappagata attesa di un punto di svolta che rompa, o quanto meno interrompa, questa estenuante ed irritante immobilità narrativa.
La storia raccontata in Io sono l’amore si deve quindi considerare solo ed esclusivamente come la vicenda individuale di una (troppo) lenta “fuga per la libertà”. Questo, e soltanto questo, è il fine ultimo dell’impianto narrativo messo su da Guadagnino, il quale, come se non bastasse, sceglie di chiudere il suo film con l’esplosione musicale, decisamente sopra le righe, di una fanfara.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Regia: Luca Guadagnino
Interpreti: Tilda Swinton, Pippo Delbono, Flavio Parenti, Edoardo Gabriellini
Distribuzione: Mikado film
Durata: 120'

Origine: Italia, 2009

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array

    2 commenti

    • Pare sia piaciuto molto agli americani, soprattutto a Tarantino, che l'ha inserito nei 20 mgliori film del 2010 (al quarto posto!)

    • Se vedo quali sono i film scelti da sentiri selvaggi per gli anni 10 mi cadono le braccia. Tutti film orizzontali, americani nel senso più scontato del termine. Qualcuno, pagando pegno a un po' di ideologia di sinistra, ha citato Laurent Cantet, con la retorica delle "persone normali", del "minimo", del "pensiero debole". Quindi non mi stupisco che l'approccio denso, il linguaggio lirico, gli spazi enormi, la bellezza fredda, il misterioso impasto tra linguaggio cinematografico, dettagli scenografici, musica possente, possa aver provocato il solito rifiuto a una critica che al cinema italiano chiede sempre la solita cosa. Guadagnino, uscito dal coro e dalle kabile linguistiche, ha creato una sinfonia potente, al di là della storia, che poi è un archetipo. La fanfara, come viene definita, è la musica di un grandissmo compositore John Adams, che certo non usa le note corrette e pavide del folklore italiano alla Piovani.