TORINO 29 – “Twixt”, di Francis Ford Coppola (Film di chiusura)

Coppola gioca con il digitale, lo spettro dei colori. E si affaccia al 3D. Ma non può far a meno di annunciarlo, dichiarando subito il trucco e l’artificio. Contraddice in un attimo lo scopo di ogni progresso tecnico, che è cancellare lo sforzo per rendere sempre più concreto l’impossibile. Mostra i fili, le cesure, i tagli, le cicatrici di ogni scena e scopre tutte le contraddizioni degli sguardi invisibili che sognano di riconquistare il reale. Resuscita i suoi fantasmi e insegue le sue visioni, fregandosene del pubblico, della critica, delle attese di chi vuole immergersi nei confortevoli incanti della sala. No, il cinema non appaga. Deve bruciare al fuoco della vita

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twixtOrmai è chiaro. E’ Coppola il Dominic Matei piombato in un’altra magnifica e impossibile giovinezza. Twixt è un film proiettato nel passato, prima ancora che nel futuro. Potenza del predicato. Come Youth Without Youth, appunto. Come Tetro. Ma più in generale come tutto il cinema di un vecchio titano che cerca di scoprire, ab origine, i segni dell’eternità in un affannosa e disperata lotta contro il tempo. Le lancette dell’orologio camminano all’indietro e Coppola, come in una seduta di autoanalisi, cerca di riportare a galla il rimosso, tutti i fantasmi, personali e professionali, del proprio vissuto. Accetta di mostrare i drammi familiari del suo scrittore in crisi, Hall Baltimore (un incontenibile Val Kilmer, altro rudere che sembra aver sfidato le leggi del tempo), ma solo per ricordare e rivivere le proprie atroci tragedie, in una struggente confessione che assomiglia a quelle di Tetro. E così, ancora, immergendosi in un’atmosfera gotic horror e scegliendo a propria guida niente meno che Edgar Allan Poe, resuscita le origini cormaniane della sua carriera. Ma solo dopo averne sfiorato molte tappe e aver trasformato Twixt in una piccola, densa summa di tutto ciò che è stato il suo cinema. La moto di Flamingo non vive dello stesso rombo di quella di Rusty? E l’ossessione vampiresca non viene direttamente da Dracula? E i sogni lunghi più giorni? Eppur non basta. Perché Twixt va ancor oltre, spingendosi in un viaggio a ritroso lungo le ere geologiche della storia e della preistoria del cinema. Se Tetro sembrava trovare un punto d’approdo nelle bambole scomposte di Powell e Pressburger, qui Coppola arriva a Le voyage dans la lune di Méliès. E ancor più in là, alla letteratura dell’800, quella di Whitman e Poe, il Virgilio che ci prende per mano e ci conduce nei meandri di un sogno incubo che appare come l’unica, inesauribile fonte di tutte le immagini possibili. Del resto, l’idea di rimontare il film in diretta secondo le emozioni del pubblico non risponde alla tentazione di andar oltre il (prima del) cinema, oltre la ripetizione perfetta del meccanismo? E’ la rivincita della performance unica, del gesto irriproducibile, infinitamente variabile a partire da brevi minimi segmenti (sequenze) di movimento.       
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twixtNon è un caso che Twixt racconti di uno scrittore alla disperata ricerca di qualcosa da dire, di un inizio e ancor più di un finale impossibile. Perché questa storia sulla nascita delle storie, dietro le vicende del nuovo rocambolesco romanzo di Hall Baltimore, nasconde un discorso sulle origini oscure dell’atto creativo, sulla natura vampiresca, e quindi fondamentalmente parassitaria, dell’ispirazione, percorso tra gli strati inconsapevoli dell’anima, le suggestioni del visto e del sentito dire, che valgono e pesano oltre qualsiasi sforzo, qualsiasi tecnica. Hall Baltimore riprova e mette in scena con tutte le possibili modulazioni la frase iniziale del romanzo. Ma sbaglia a più riprese, scambiando il nome di Virginia con quello di Vicky, la figlia morta. Non può che tornare, sempre e suo malgrado, al rimosso degli errori e dei dolori, che covano e bruciano incandescenti sotto le ceneri della coscienza. E’ questo il brodo primordiale di ogni storia che meriti di essere narrata, il caos informe in cui tutto si genera e si esaurisce. Ed è qui che sta Coppola, perché l’unica cosa che sembra interessargli davvero è capire da dove arriva e come nasce il cinema. Qual è la sua origine, cos’era da principio? Domande necessarie per immaginare la possibilità di un presente e di un futuro. Ecco, Coppola sperimenta con la furia di un ventenne. Gioca con il digitale, lo spettro dei colori. E si affaccia al 3D. Ma non può far a meno di annunciarlo, dichiarando subito il trucco e l’artificio. Contraddice in un attimo lo scopo di ogni progresso tecnico, che è cancellare lo sforzo per rendere sempre più concreto l’impossibile. Mostra i fili, le cesure, i tagli, le cicatrici di ogni scena e scopre tutte le contraddizioni degli sguardi invisibili che sognano di riconquistare il reale. Resuscita i suoi fantasmi e insegue le sue visioni, fregandosene del pubblico, della critica, delle attese di chi vuole immergersi nei confortevoli incanti della sala. No, il cinema non appaga. Non è chiamato a soddisfare le pretese dell’intelligenza né a sviare le paure. Deve bruciare al fuoco della vita. Fino a esplodere dentro la carne, negli occhi, come un apocalisse. Once more.  
 
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