"The Eye", di Oxide e Danny Pang

Il film dei fratelli Pang attua una simbiosi tra l'occhio umano e quello cinematografico, una fusione che si realizza all'interno di un presente impalpabile in cui convivono, in sospensione, echi del passato e terrificanti suggestioni future

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Vive in uno strano limbo l'opera dei fratelli Oxide e Danny Pang, cineasti di origine thailandesi formatisi a  Hong Kong.  Un limbo annunciato fin dal titolo, The Eye che se da un lato rimanda direttamente alla natura del dispositivo cinematografico, ("terzo occhio" per antonomasia, capace di frapporsi tra realtà e immaginazione), innescando così una complessa riflessione filosofica sull'ontologia del cinema stesso, dall'altro fa appello allo spettatore, in quanto destinatario, al pari della sua giovane protagonista, del dono dell'ipersguardo. Un dono che è potere e quindi responsabilità, perché chi vede sa e può intervenire (a questo proposito, come non pensare a due pellicole di Sam Raimi come The Gift o Spiderman?), ma che comporta soprattutto sofferenza, perché chi vede ciò che gli altri non vedono, è destinato a non essere creduto. La storia di Mann e del suo alter ego Ling ha quindi un duplice sapore, quello antico, che rimanda a figure leggendarie come Cassandra, sottolineato soprattutto nella seconda parte, quando il film si apre ai paesaggi rurali tailandesi, e quello moderno, evidenziato dall'ambientazione metropolitana ed esaltata da un'estetica curatissima fin nei minimi dettagli (con tanto di climax e audio ad effetto) propria del cinema horror. Ed è senza dubbio questa ambiguità a fare di The Eye un'opera assolutamente originale, in grado di accogliere al suo interno tradizione e innovazione sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista narrativo. Il film dei fratelli Pang attua infatti una vera e propria simbiosi tra occhio umano (e naturale) e occhio cinematografico (e artificiale), una fusione che si realizza all'interno di un impalpabile presente e che permette di far convivere echi del passato (con i suoi fantasmi, le sue colpe, i rimpianti e i rimorsi delle madri come delle figlie) e suggestioni future (con il presagio di una tragedia imminente). Ne risulta una pellicola suggestiva, che fin dalle prime inquadrature si costituisce quale corpo galleggiante, visione ipnotica e straniante in grado di fare della sospensione la sua cifra stilistica. Del resto cosa c'è di più sospeso di un non-morto? Di uno spettro appartenente a una zona liminare (che addirittura fluttua… come nell'agghiacciante scena dell'ascensore)? Di una veggente, luogo d'incontro tra i vivi e i defunti, il buio e la luce, la conoscenza e l'ignoranza? Figura dell'alterità, inquieta e destabilizzante, virginale come tutte le sacerdotesse dell'antichità, Mann (che finirà per non riconoscere neppure se stessa) diventa così specchio opaco della nostra stessa visione, materia (foto)sensibile al pari della pellicola cinematografica, metonimia di uno sguardo libero capace di impregnarsi di tutta la sofferenza del mondo e di trasformarla, con un semplice batter d'occhio, in conoscenza e significazione.

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Regia: Oxide e Danny Pang
Sceneggiatura: Oxide e Danny Pang, Jojo Hui Yuet Chuen
Fotografia: Decha Seementa
Montaggio: Oxide e Danny Pang
Musica: Orange Music
Scenografia: Simon So
Costumi: Stephanie Wong e Jittma Kongsri
Interpreti: Lee Sin-Jie (Mann), Lawrence Chow (Wah), So Yut Lai (Yingying), Candy Lo (sorella di Mann-Yee) Ko Yin Ping (nonna di Mann), Edmond Chen (Dott. Lo), Ben Yuen (Sig. Ching), Winson Yip (taoista), Chutcha Rujihanon (Ling), Pierre Png (Ed), Wang Sue Yuen (madre di Ling)
Produzione: Applause Pictures, Fortissimo Film Sales, Premier PR, Raintree Pictures Pte
Distribuzione: Eagle Pictures
Origine: UK/Hong Kong/Singapore/Thailandia, 2002


 

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