Flight, di Robert Zemeckis

Un cinema sempre ‘in volo’ con una prima ora potentissima e la seconda apparentemente più canonica che in realtà è molto più complessa e stratificata. Altro punto cruciale nel cinema di Zemeckis

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Il cinema non è io vedo, è io volo” — Paul Virilio

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Il cinema di Robert Zemeckis è sempre in volo. Le sue immagini – almeno dal fatidico 1985 di Ritorno al Futuro – hanno sfidato a duello i limiti della mera cognizione spettatoriale per retrocedere ludicamente nel regno della pura percezione. Le sue celebri ossessioni per la forma del tempo e la liquidità dello spazio hanno radici in quelle originarie potenze dell’immagine filmica che prescindono ogni legge fisica per farsi costantemente mondo altro. Cinema e basta. Un regista che pensa immagini, tanto da aver abdicato alla live action in questi ultimi tredici anni per inseguire una sublime e paradossale umanità nell’universo ibrido e performante dello spazio digitalizzato.

E veniamo all’oggi. Strano progetto questo Flight, vecchia sceneggiatura di John Gatins che Zemeckis ha ripreso e subito plasmato a sua immagine: il film inizia con un aereo che decolla (il mezzo di trasporto: come la Delorean, la zattera, il treno…) e un orologio che segna l’ora della sveglia (una firma inequivocabile). Il capitano William “Whip” Whitaker, con seri problemi di alcool e droga, dopo una notte di sesso con la hostess Trina si reca al suo volo giornaliero. Destinazione Atlanta. Ed è potentissima l’intera sequenza iniziale, dove la regia crea un microcosmo di traiettorie convogliate tutte verso un unico evento: un incidente aereo, proprio come in Cast Away. “Act of God” (o del dio-regista) che si fa ancora una volta apocalisse dell’inquadratura e azzeramento delle coordinate spaziotemporali risolte in una fatale percezione (in) soggettiva. Perché per Zemeckis prima dell’immagine c’è sempre e solo l’uomo…

La lunga soggettiva è quella di Whip che viene trasportato fuori dall’aereo, portato a terra con una manovra eroicamente istintiva: capovolgere mezzo e prospettive per salvarsi la vita. E poi ancora quella del risveglio in ospedale segnato da continui stacchi con il dettaglio del suo occhio che si riapre al mondo. In quel fulmineo stacco di montaggio tra occhio e sguardo, in quel primitivo intervallo senza tempo, c’è l’intero cinema di Zemeckis: fatto di corpi sopravvissuti alla morte e fantasmi che ritornano (d)al futuro. Ma lo sguardo deve anche stabilire un contatto, contact, per esistere: Whip si trascina verso l’esterno, oltre lo spazio codificato (dell’ospedale) e si ferma in un anonimo sottoscala. Incontra una donna tossicodipendente (Nicole) e un bizzarro cupido malato terminale. Il tempo si ferma di nuovo. Una piccola sequenza di un’umanità traboccante, dove tre percorsi di sofferenza incrociano per pochi istanti le traiettorie e si stringono in un unico sguardo di complicità. E sì. Basterebbe questa prima ora per amare incondizionatamente Flight.

Poi però inizia un altro film (apparentemente) più canonico. La sofferta lotta di Whip contro i fantasmi delle dipendenze; il rapporto ambiguo con Nicole, con l’esilarante amico/pusher interpretato da John Goodman, con il figlio adolescente; infine il terrore della condanna governativa per lo stato di ebbrezza durante l’incidente. Sì, forse è vero: il film ha qualche problema nell’amalgamare e giustificare tutti questi rivoli narrativi, ma non ci si può certo fermare qui. Questa è solo la corteccia superficiale di un’opera complessa e stratificata, che riesce a restituire una contagiosa fiducia nelle forze del cinema: il dolore, il dubbio etico, il perdono, vengono scanditi da un sonoro “materico” che dialoga con lo spettatore a più livelli (compresa la fiammeggiante selezione musicale: da Lou Reed agli Stones, da Joe Cocker a John Lee Hooker) tracciando una vera e propria mappatura sentimentale del protagonista e favorendo ogni attraversamento di soglia emotiva; lo splendido faccia a faccia finale tra Denzel Washington e Melissa Leo, in tribunale, è totalmente delegato ai primi piani, marcando l’insistita volontà di andare oltre il detto per scovare verità affettive prime nel volto umano. Nello sconfinato paesaggio della vita. Il cinema, insomma, è costantemente dentro e fuori l’inquadratura…e Flight diventa l’ennesimo tassello di un preziosissimo mosaico: Robert Zemeckis è sempre in volo attraverso l’immagine.

 

Titolo originale: id.
Regia: Robert Zemeckis
Interpreti: Denzel Washington, Kelly Reilly, Don Cheadle, Bruce Greenwood, John Goodman, Melissa Leo
Distribuzione: Universal Pictures
Durata:138′
Origine: USA, 2012

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.25 (4 voti)
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