La grande bellezza, di Paolo Sorrentino

la grande bellezza
L’intera concezione della messinscena racconta in maniera lampante di una mancata presa di posizione e di una abissale trasparenza. Il dramma piu’ tremendo e' la sua latente mancanza di ambizione, nascosta dalla carta da parati d’oro intarsiata e barocca: un film piccolo piccolo gonfiato fino all’esasperazione come le polifonie vocali della colonna sonora

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la grande bellezzaCosa credi che il tuo film non sia una commedia all’italiana?
E’ una commedia all’italiana, di oggi, nei modi tuoi, per la tua generazione,
ma resta esattamente una commedia all’italiana.

Mario Monicelli a Nanni Moretti su Io sono un autarchico

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Lo si puo’ scrivere oggi con certezza, anche se lo si era in verita’ intuito ai tempi: Il Divo rappresentava gia’ il baratro della nuova autorialita’ del cinema italiano proprio nell’istante della sua piu’ fulgida visibilita’ e gloria critico/festivaliera. Il fraintendimento internazionale non teneva conto di quello che invece si poteva davvero capire guardando anche solo la superficie di quella automobile di Falcone costretta a volare in aria e ripiombare verticalmente nel fosso dell’esplosione per reiterate volte lungo tutto il film. La soluzione non e’ stata l’America, nemmeno stavolta. Sorvoliamo, pare suggerire dunque ancora Sorrentino Paolo (gabbiani al seguito) sia a Bigazzi Luca che allo spettatore: voliamo sopra un apparato di suggestioni letterarie/filosofiche di sconcertante vacuita’ (“indossata” nella maniera migliore dall’impagabile Luca Marinelli nel suo breve ruolo di giovane intellettuale tormentato) che dovrebbe sostenere, attraverso le pensose riflessioni di pigro esistenzialismo da varieta’ del protagonista Jep Gambardella, una complicata giostra formale di sorrentinismo potenziato e mostrato nella sua essenza piu’ pura.
E dunque, appurato che del livello dell’allegoria sulla caduta di Roma e relativo teatro degli orrori non interessa nulla a nessuno (di piu’ e con piu’ oscura dannazione dice una qualunque sequenza a caso del Bellocchio “parlamentare” dell’ultimo Bella Addormentata, solo per fare un esempio), guardiamo ancora una volta alla superficie, e a questo discorso estetico che chiaramente per Sorrentino racconta in se’ il nocciolo della questione (la traiettoria della palla del cannone del Gianicolo sparata e seguita in aria nell’incipit, poi probabilmente affondata nel Tevere dei titoli di coda).

Ecco, l’intera concezione della messinscena de La grande bellezza racconta in maniera lampante di una mancata presa di posizione (intendendo gia’ la posizione perennemente e ostinatamente cangiante e ondivaga della mdp), e di una abissale trasparenza, vera e propria invisibilita’, dei personaggi (diverse volte l’obiettivo di Bigazzi e lo sguardo di Servillo sembranocarlo verdone e toni servillo in La grande bellezza mancarsi, non incrociarsi, distogliersi a vicenda, eppure e’ chiaro che l’attore stia parlando/guardando in macchina: questo forse, spiega tutto, e lo lascio tra parentesi). Piu’ che apparire, le visioni del film scompaiono: se di fellinismo si deve parlare, che se ne parli allora al contrario (Luciano Salce e’ forse il nome, o siamo davvero troppo poco autoriali cosi’?).
Il dramma piu’ tremendo de La grande bellezza e’ davvero la sua latente mancanza di ambizione, nascosta dalla carta da parati d’oro intarsiata e barocca: un film piccolo piccolo (quasi quanto C’era un cinese in coma del complice fuggitivo Carlo Verdone, sempre piu’ profetico e lucidissimo testo centrale da recuperare per decifrare il cinema italiano del nuovo millennio…) gonfiato fino all’esasperazione come le polifonie vocali della colonna sonora, un’autodistrazione piu’ che un’autodistruzione.
Insieme al Reality di Matteo Garrone, presentato giusto un anno fa sempre a Cannes, questo La grande bellezza e’, per tornare all’inizio, giusto la stampa ornamentale di quella che fu salutata come una rinascita della tradizione “impegnata” del cinema italiano, travisatasi da se’ in un conclave di claustrofobica, ostinata commedia all’italiana destrutturata ed essiccata.
Fine dei giochi (e inizio del romanzo): tutto questo cinema si riduce, suo e nostro malgrado, a conti fatti ad un’ennesima, maledetta, commedia all’italiana.

Regia: Paolo Sorrentino
Interpreti: Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Serena Grandi, Vernon Dobtcheff, Isabella Ferrari, Luca Marinelli, Giorgio Pasotti, Giulia Di Quilio, Massimo Popolizio, Giorgia Ferrero, Roberto Herlitzka, Carlo Buccirosso, Pamela Villoresi, Ivan Franek, Stefano Fregni
Origine: Italia, Francia, 2013
Distribuzione: Medusa FIlm
Durata: 110’

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    11 commenti

    • D'accordo su tutto ma non sull'accomunare questo film a Reality. Qui non ci siamo.

    • domanda: quanto colpevole è un attore nel prestarsi, con faccette e manierismi, ma anche semplicemente con se stesso 'al suo meglio' (mi sembra l'abbia detto mereghetti; come se esistesse un servillo 'al suo peggio'), a una cosa così tronfietta e così pienozza della propria capacità di benscrivere e bengirare?

    • Ma voi siete completamente fuori di cotenna.

    • Recensione generosa, questo film merita un risarcimento economico e morale per tutti gli spettatori. Speriamo che sia l'ultimo film di questo presuntuoso regista snob e vuoto.

    • www.dikotomiko.wordpress.com

      Analisi seria anche se francamente non condivisbile.
      Non ci si accorge nemmeno del tributo a Celine e della brutalizzazione della sinsitra ideologica e radical chic.
      O forse sono queti i motivi di tanto odio verso Sorrentino?

    • dikotomiko il tributo a celine e' talmente sfacciato che non puoi non accorgertene. Brutalizzazione dici? Che bello fare un brutto film su della brutta gente…. gli americani quando ci mostrano i mafiosi fanno il Padrino…

    • Bellissima recensione, complimenti per aver tolto le maschere a questa gran carnevalata… di film! 😉

    • Ogni parola della recensione è vera. Eppure ci sono in questa pellicola così tronfia e autocompiaciuta momenti straordinari, ognuno poi sceglierà i suoi. La cifra che unisce e salva il tutto è la sua capacità di "rappresentare" attraverso la decrepitezza dei corpi rifatti che ingombrano ogni scena la vecchiaia di un paese, delle sue idee, della sua gente, e probabilmente del cinema stesso di Sorrentino riavvolto su se stesso. Non concordo solo sull'America: in THIS MUST BE THE PLACE si respirava davvero un'altra aria.

    • E' davvero sorprendente come alcuni recensori non riescano a vedere al di la del proprio naso.

    • Benissimo. Adesso aspettiamo tutti di vedere gli straordinari film prodotti Giannandrea Pecorelli, girati da Toni Trupia, sceneggiati da Franco Ferrini montati da Giovanni Bruno e Bruno Fruttini e recitati da Valentina Carnelutti.