"Terminator 3: le macchine ribelli", di Jonathan Mostow

Più che le sottili variazioni sul tema introdotte nel plot, ciò che colpisce immediatamente di "T3" è proprio l'azzeramento della trama e l'affermazione immediata di quella poetica del duello che sembra l'autentica cifra stilistica del cinema di Mostow

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Ha il sapore di carne bruciata e metallo fuso il terzo capitolo della saga Terminator, epopea creata vent'anni fa dal genio visionario di James Cameron ed ora ravvivata dal cinema muscolare e adrenalinico di Jonathan Mostow. Ha l'odore singolare di pelle e lamiera, sangue e microchip che schizzano via, l'ultimo capitolo di questo duello sempre dentro/fuori tempo fra uomini e macchine, vecchia/nuova sfida prima compressa ed implosa nel rettangolo di un set disseminato di trappole ed incredibili corpo-a-corpo visivi, poi lasciata esplodere in una serie di detour narrativi e nuovi cortocircuiti temporali.

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Eppure, ad un primo sguardo, le sequenze iniziali di T3  potrebbero sembrare solo una magnifica ripetizione degli schemi elaborati da Cameron nel secondo episodio, una formula più che collaudata che vede il mitico cyborg T-800 alias T-101 – interpretato dall'inconfondibile Schwarzy con giubbotto di pelle nera e occhiali scuri – precipitare sulla terra per salvare la vita di John Connor, il capo della futura resistenza degli umani minacciato da un altro spietato Terminator. Poco importa che questa volta l'avversario ha il corpo "meccanico" e femminile di Kristanna Loken e il cast si arricchisce immediatamente di una giovane veterinaria (Claire Danes) destinata suo malgrado a rivestire un ruolo decisivo per il proseguo della narrazione. Perché più che le sottili variazioni sul tema introdotte nel plot, ciò che colpisce immediatamente di T3 è proprio l'azzeramento della trama e l'affermazione immediata di quella poetica del duello che sembra l'autentica cifra stilistica del cinema di Mostow, un'elegia a due dove la battaglia diviene inevitabilmente luogo mitico, spazio a-temporale che celebra un'ambigua ma essenziale etica della sopravvivenza. Alla macchina da presa bastano poche inquadrature per definire le coordinate del ring, poi il set brucia letteralmente fra accelerazioni improvvise e fughe di proiettili in una tecnologica sfida all' Ok Corral attraversata da indistruttibili pistoleri di lamiera, tir impazziti e colpi proibiti.


Se Breakdown aveva inaugurato la personalissima rilettura dei generi "classici" americani operata da Mostow, e U-571 ha messo a punto i meccanismi di questo micidiale dispositivo visivo stretto fra spazi e corpi d'acciaio in perenne attrito, T3 registra l'ulteriore evoluzione verso la rappresentazione di una lotta dove corpi e oggetti metallici si compenetrano continuamente in un atto di odio/amore interamente racchiuso nel fisico snodabile e mutevole della Lokken – in quel suo braccio/protesi capace di penetrare orifizi cronenberghiani e tessuti mutanti… Un autentico corpo-cosa-macchina desiderante animato da un impulso di morte che muove le fila del racconto e scuote dall'interno un flusso di sequenze scandito da un montaggio lineare e preciso al millimetro.


Ma in T3 l'etica della sopravvivenza messa in scena da Mostow va ben oltre la lotta e la metamorfosi dei suoi corpi-oggetti per assumere le proporzioni di un conflitto epico e universale: mai come nel finale di questo terzo capitolo le falde temporali lasciano affiorare e intravedere un'oscura  linea patriarcale, una circolarità genitoriale e quasi edipica fra uomo e macchina – il rapporto padre/figlio e vita/morte che lega indissolubilmente John Connor e il T-800 – che non può che sfociare in uno scontro senza tempo perché destinato a ripetersi in eterno. Così la negazione dell' happy end suona solo come un sinistro time-out, un segnale che la lotta – e il cinema, naturalmente – possono riprendere: dentro il corpo oltre il corpo, forse in quello spazio aereo e impalpabile dove combattono ancora le entità di Matrix o i sogni digitali di Final Fantasy


 


Titolo originale: Terminator 3: Rise of the Machines
Regia: Jonathan Mostow
Sceneggiatura: John Brancato & Michael Ferris
Fotografia: Don Burgess
Montaggio: Nicholas De Toth, Neil Travis
Musiche: Marco Beltrami
Scenografia: Jeff Mann
Costumi: April Ferry
Interpreti: Arnold Schwarzenegger (Terminator), Nick Stahl (John Connor), Claire Danes (Kate Brewster), Kristanna Loken (T-X), David Andrews (Robert Brewster), Mark Famiglietti (Scott Petersen), Earl Baen (Dr. Peter Silbermann)
Produzione: Mario Kassar & Andrew G. Vajna
Distribuzione: Columbia Tristar Italia
Durata: 109'
Origine: Usa/Germania/Inghilterra, 2002

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