STARDUST MEMORIES – Coscienza di John Cazale

John Cazale, Il cacciatore
Prematuramente scomparso nel 1978, John Cazale ha segnato gli anni Settanta con soli cinque film, cinque capolavori tutti candidati all’Oscar. Rimane un fantasma, lo spettro della New Hollywood, una traccia espressiva indimenticabile da trent'anni a questa parte. Il più grande e sfortunato attore invisibile della storia del cinema

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Attore versatile, sottrattivo quanto capace di improvvise accelerazioni nervose, John Cazale ha attraversato gli anni Settanta con soli cinque film, cinque capolavori candidati all’Oscar (un record per nessun altro attore!). Quando scomparve prematuramente nel 1978,  subito dopo aver recitato già gravemente malato di cancro ne Il cacciatore di Michael Cimino, in pochi probabilmente compresero che con lui se ne andava simbolicamente un’era della storia del cinema. Di scuola teatrale, nacque nel 1935 a Revere nel Massachusetts ma si trasferì giovane a New York per sfruttare il suo talento in piece e programmi Tv. Lo scoprì Francis Ford Coppola, facendolo esordire con Il Padrino nel 1972.
John Cazale è stato la spalla di grandi attori protagonisti (Pacino, Hackman, De Niro), con i quali ha saputo tessere, con la pazienza del comprimario, memorabili porzioni di cinema, pezzi di bravura recitativa leestrasberghiani (il famoso Metodo!) di sublime modernità cinematografica. Provate a rivedere una qualunque delle scene in cui è presente ne Il Padrino parte I e parte II: Cazale c’è ma spesso non si vede, le inquadrature troppo lunghe non fanno per lui, non gli servono, è stato uno dei pochissimi attori a essersi messo al servizio del montaggio e del senso “reale” della scena. Se ne sta in fuori campo, sprofondato nella penombra della fotografia caravaggesca di Gordon Willis  o come controcampo morale degli assoli shakespeariani di Pacino. Fino a esplodere improvvisamente e appropriarsi dell’inquadratura con la giustezza di chi ha il controllo assoluto della sensibilità dell’atto.

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Da questo punto di vista la sensazione è che con la sua morte il cinema abbia perduto molto, perché nonostante le comuni basi formative con i grandi del suo tempo il suo stile di recitazione e più ancora la sua fisionomia erano l’antidoto perfetto ad alcuni esibizionismi firmati Academy Awards che di lì a pochi anni sarebbero diventati maniera. A conti fatti Cazale è stato più un Duvall che un Pacino (con il quale era peraltro legato da una amicizia profondissima). Se ne La conversazione interpreta il tecnico assistente di Hackman giocando su sfumature psicologiche sopraffine (poche scene corali, impeccabili, e un altro piccolo tradimento consumato nei confronti del protagonista), in Quel pomeriggio di un giorno da cani di Sidney Lumet è il silenzioso rapinatore complice di Pacino destinato al sacrificio finale. Un’effigie di fedeltà psicopatica e onesta al suo compagno, completamente fuori dai cronometri istrionici e verbali imposti dal film e destinata a soccombere in un finale ancora una volta amaro per il suo personaggio. Ne Il cacciatore diventa poi quasi il coprotagonista della meravigliosa prima parte americana. Stanley è un grande personaggio, il controaltare un po’ vigliacco ma ancora una volta fragile e tipicamente americano (la fabbrica, le donne, la provincia, l’alcol, lo sballo con gli amici) al patriottismo dei tre marines alla vigilia della loro partenza in Vietnam. “Questo è questo. Non è un’altra cosa” gli grida in faccia un duro De Niro, nella magnifica scena (per chi scrive una delle più belle mai recitate in un film americano) che anticipa la caccia al cervo.

La breve carriera di Cazale è però inevitabilmente legata alla saga di Coppola. Fredo è forse uno dei personaggi più tragici della storia del cinema
. Fragile, magro, passivo, è lui l’anello debole della famiglia Corleone, l’umano troppo umano che fa saltare il banco degli affetti e della Famiglia per far sprofondare Michael nella dannazione del fratricidio. Fredo è destinato a sedimentarsi nella memoria storica del cinefilo come fosse un fantasma – tutto Il Padrino parte III è infatti giocato sulla sua assenza/traccia – un destino tragico che accomuna il personaggio al suo interprete. Perché a oggi Cazale è davvero lo spettro della New Hollywood. Il volto di un decennio, di un modo di fare cinema che improvvisamente dal 1980 in poi ha cambiato registro consentendo ai cronisti di affibbiare (a onor del vero spesso confusamente e in modo improprio) accanto alla parola Hollywood l’aggettivo “reaganiana”. Chissà se negli anni Ottanta (e Novanta e Duemila) ci sarebbe stato spazio per un volto così umanamente umile e “italoamericano” come quello di Cazale. Ci manca molto. Ma non capita spesso di immolare un non protagonista sulle vette del Mito. John Cazale ci è riuscito con la semplicità del mestiere. 

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