Sarah Polley: il ricordo è un compromesso

sarah polley

Attrice e regista canadese,  è il simbolo anti-hollywoodiano, inteso come rifiuto di ghettizzazione entro schemi fin troppo delineati, dotata di un forte e personale sguardo filmico atto ad indagare, attraverso le sue pellicole, la coppia e il tema del ricordo/racconto, analizzandolo da molteplici prospettive

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Take this waltz, take this waltz

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With its "I'll never forget you, you know!"

 

Leonard Cohen – Take This Waltz

 

 

Il cinema di Sarah Polley si basa sul ricordo, la sua assenza e metamorfosi. Sembra quasi che la sua circoscritta, sebbene lodevole, carriera registica sia concentrata, parallelamente a quella attoriale, sull'intendo di sviscerare il tema del racconto da diverse prospettive utilizzando, come strumento d'analisi, la coppia. Toronto, classe 1979, la Polley è cresciuta in un'ambiente familiare immerso nel teatro e nel cinema. Suo padre, l'attore inglese Michael Polley e sua madre, Diane Elizabeth, attrice e casting director, si sono conosciuti ed innamorati proprio tra le assi di un teatro canadese mentre recitavano fianco a fianco in una pièce. Crescendo tra copioni e set anche la giovane Polley, in tenerissima età, fa il suo debutto nel mondo di celluloide con il film Disney, One Magic Christmas. Da questo momento in poi la futura regista si divide tra produzioni televisive, come Ramona e La strada per Anvolea, indirizzate ad un audience di teenager, permettendole di divenire un volto noto presso il grande pubblico canadese, e la partecipazione a film internazionali come Le Avventure del Barone di Munchausen di Terry Gilliam o Il dolce domani di Atom Egoyan.

 

Fortemente attiva in ambito politico/sociale e ben consapevole di quale direzione dare alla sua carriera, tanto da rifiutare il ruolo di Penny Lane in Almost Famous in favore del dramma a basso buget, The Law of Enclosures, di John Greyson, la Polley ha intrapreso un percorso attoriale tale da renderla il simbolo di quell'anti- Hollywood, inteso come rifiuto di ghettizzazione entro schemi filmici fin troppo delineati, che le ha permesso di scegliere ruoli in pellicole, per lo più indipendenti, apprezzate e lodate dalla critica (Last Night di Don McKellar, Go di Doug Liman, Mr. Nobody di Jaco Van Dormael, Non bussare alla mia porta di Wim Wenders, L'alba dei morti viventi di Zack Snyder).

Nel 2006 debutta alla regia con il dramma Away From Her. Il film, tratto dal racconto The Bear Came Over The Mountain di Alice Murno, è incentrato su una coppia sposata da oltre quarant'anni che deve fare i conti con l'Alzheimer, tarlo della mente che inghiotte i ricordi, e segna l'inizio dell'indagine della Polley sul racconto e la coppia. Analisi proseguita con il suo secondo lungometraggio, Take This Waltz (2011), dramma romantico con Michelle Williams e Seth Rogen. Ricordo a posteriori carico di nostalgia, la pellicola, pone, con il pretesto di descrivere la storia di Margot, giornalista freelance che trova nell'intrigante vicino di casa la carica vitale ormai assente nel suo matrimonio, una serie di domande sulle relazioni sentimentali senza giudicare, bensì lasciando personaggi e spettatori liberi di agire e riflettere. Analizzando più da vicino i suoi lungometraggi è facile notare come siano incentrati su figure femminili forti, spesso enigmatiche, le cui azioni non sono necessariamente condivisibili, ma nonostante questo, magnetiche.

 

Queste stesse caratteristiche si ritrovano in Diane Elizabeth, madre della Polley, morta quando la regista aveva solo 11 anni, e protagonista del documentario intitolato Stories We Tell. Il titolo, emblematico, si rifà al tema dell'opera: ricordare e raccontare il segreto di famiglia dei Polley (la regista è il frutto di una relazione extraconiugale della Elizabeth con il produttore Harry Gulkin) attraverso i diversi punti di vista degli intervistati, sviscerando da dentro il rapporto tra i genitori, la relazione con Gulkin e indagando le conseguenze che questa scoperta apporta agli altri membri della famiglia. Ecco così che si viene a formare un dedalo di ricordi, coadiuvati dal filmini originali e ricostruzioni in un finto Super 8. La Polley dunque non si limita a raccontare attraverso immagini e interviste reali la storia intima della sua famiglia ma costruisce da sé ricordi di sua madre e della sua infanzia in una sorta di omaggio ad Orson Welles e al suo F For Fake. Stories We Tell è la prova definitiva del talento e dello sguardo originale di una giovane cineasta già in possesso di uno stile proprio che modula al servizio delle storie che sceglie di imprimere su pellicola.

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