Fuoco che cammina ritmicamente fedele ai passaggi musicali e cerchi nell’acqua che si svitano rivelandosi maglie meccaniche: David Lynch annuncia un esperimento ma firma un’operazione, un’espansione ipercosciente della didascalia, un barbecue dove brucia a fiamma rigorosamente controllata tutto il suo celebre armamentario. In sala da oggi al 23 luglio
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Introduce Morgan, con un messaggio video mestamente preregistrato che alla luce del seguito suonerà parecchio più live, mischiando le carte in gioco con quell’egoriferita indisponenza cui siamo ormai abituati dalla tv eppure non possiamo fare a meno di percepire disarmante. Tra pollice e indice scorre la carta ingiallita e consunta di un vinile dei Duran Duran, pochi minuti dopo li ritroviamo al completo, inamidati in bianco & nero sul palco del Mayen Theater di Los Angeles: American Express e Vevo proseguono il discorso “grandi nomi della musica inquadrati da grandi nomi del cinema”, David Lynch in cabina di regia annuncia sornione un esperimento che parrebbe smentire il concetto solidamente commerciale di operazione. Quello che ci aspetta non è la soluzione immaginifica all’eventuale e benvenuto happy accident, piuttosto un’espansione ipercosciente della didascalia, 121 minuti di videoclip che ne indeboliscono l’essenza stessa spingendola alle estreme conseguenze – ciò che vediamo è logicamente congruente, aderente e sovrapponibile a ciò che udiamo al punto da appiattire l’esperienza uditiva come quella visiva ed emozionale – infine un barbecue dove brucia a fiamma rigorosamente controllata tutto il celebre armamentario lynchiano.
Onirico e pop, cult e trash, fuoco che cammina ritmicamente fedele ai passaggi musicali e cerchi nell’acqua che si svitano rivelandosi maglie meccaniche, sfrigolio ironico di archi che sovraimpressi al pubblico abbracciato/soffocato in panoramica paiono trafiggerne le gole esposte e volti di donna placidamente sorridenti e tremendamente inerti come la celebre fotografia di Laura Palmer. Simon Le Bon & Co. non sbagliano un colpo, l’espressione rilassata e soddisfatta dei professionisti filtra attraverso il fumo denso di un’altra camera. Tre ne sono state utilizzate per filmare l’evento in diretta, di cui una on stage e due in altrettanti ambienti altri, una stanza-pentola di fumo appunto e una scena allestita per attori – umani, pupazzi. Che differenza fa. Lynch distilla in forme ultrapop ipersature il (parco) significato attribuito alla scaletta in successione, aderisce smaccatamente alla superficie liscia delle cose chiamate in causa ma perde in carica dissacrante e forza parodica. Forse divertendosi a stuzzicare l’inconscio in paragoni più empirici che trascendentali – su tutti, il tris di topini di pezza che coi lunghi baffi sembrano fare il coro e il verso alla meravigliosa special guest Kalis, portatrice di un singolare diadema facciale in fili d’oro -, mortificando la performance dal vivo tramite l’applicazione di sovrappensieri sintetici lontani dall’innescare pensieri altri.
Non è la nuova dimensione del documentario musicale, è la riproposizione attenuata, plastificata e riesumata – senza convinzione né apparente motivazione – dei topoi classicamente lynchiani. Una cosa molto più staged, messa in scena, di quanto il titolo suggerisca. Like some new romantic looking for the tv sound, letteralmente e senza quella miracolosa malinconia che ci faceva apparire naturale un mappamondo sulla testa di Planet Earth.
Titolo originale: id.
Regia: David Lynch
Interpreti: Simon Le Bon, John Taylor, Roger Taylor, Nick Rhodes
Distribuzione: Woovie Nights
Durata: 121'
Origine: Usa 2011
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