Lauren Bacall, la star che non volle essere diva.

Il grande sonno, 1946Era nata nel 1924 interpretando circa 50 film nei quali ha imposto il proprio carattere in perfetto antagonismo con i personaggi maschili giocando sempre su un equilibrio che segna una modernità ante litteram. Ha sempre rifiutato ogni tratto di femme fatale, fedele ai suoi principi, che ha testimoniato anche nella vita sociale e che per lungo tempo ha condiviso con il marito Humphrey Bogart.

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Acque del sud, 1944Era da tutti conosciuta come Lauren Bacall, per dodici anni moglie di Humphrey Bogart e attrice che ha intepretato circa 50 film, il primo nel 1944 e l’ultimo nel 2012, ma il suo vero nome era Betty Jane Perske, nata il 16 settembre del 1924 da una famiglia ebrea polacca emigrata negli Stati Uniti e scomparsa il 12 agosto del 2014, alle soglie dei novant’anni.

Dotata di una bellezza quasi segreta, sfuggente e misteriosa, Lauren Bacall – l’ultima elle fu aggiunta al suo cognome quando arrivò negli Usa – incarnò per molti anni personaggi femminili di carattere che, nell’antagonismo con quelli maschili, giocava un ruolo predominante e sempre molto sicuro di se.

Forse furono queste caratteristiche, forse fu la sua bellezza così sottilmente provocante che dopo la solita trafila che doveva seguire chiunque volesse, nella Hollywood degli anni ’40, mettere piede in un set, venne scelta da Howard Hawks per To have and have not, tratto dal romanzo di Ernest Hemingway che in Italia venne tradotto come Acque del sud. Lauren Bacall aveva vent’anni, ma a guardarla sullo schermo mentre seduce quello che sarebbe diventato suo marito per dodici anni, cioè fino alla morte di lui, non c’èIl grande sonno, 1946 quasi da credere. Le protagoniste di Hawks avevano, connaturate al proprio profilo, una sensualità provocante, un tratto sfrontato che la Bacall (appena ventenne!) seppe sfoderare con grande piglio. Fu probabilmente questo tratto, giocato tra il vero e il falso, che fece innamorare Bogart. Dopo quel film i due furono una coppia, coraggiosa e, per l’epoca, anticonformista. Ancora con Hawks e in compagnia di Bogart, regista che in qualche misura la segna, che ne forma il carattere e le qualità, avrebbe girato, Il grande sonno (1946), tratto da Chandler, capolavoro di narrazione dalla trama complicata e con una schiera di personaggi che ne accresce le asperità. È un magico combinarsi di particolari alchimie quello che lega i due attori sullo schermo. Hawks sembra averlo capito e riesce a trarre da questa accoppiata vincente quanto di più forse, non si potrebbe. Non è molto nota l’antipatia che Howard Hawks nutriva per Humphrey Bogart e pare che prima di girare Il grande sonno ebbe a dirgli: Sei forse l’uomo più insolente dello schermo, ma io ti opporrò una ragazza un po’ più insolente di te. Pensava, ovviamente alla Bacall. È lei che riesce a imporre attraverso un carattere mai remissivo, un profilo di donna che sembra in perfetto antagonismo con il ruolo maschile, pur senza mai perdere quello charme dal quale nasce desiderio sessuale, una presenza femminile non conforme, inusuale, al di fuori di ogni schema abituale. È questa la grande forza di Lauren Lauren BacallBacall ed è questo che le fa conquistare un posto di tutto rispetto nel mondo del cinema. I suoi personaggi giocano sempre su un equilibrio che segna una modernità quasi ante litteram. Non si è davanti alla femme fatale, Hawks aveva in odio questo tipo di personaggi, ma non si è neppure davanti alla donna pronta a soddisfare i desideri maschili, ma davanti ad un corpo carico di consapevole sensualità che sapeva dosare con grande raffinatezza. In questo i suoi personaggi hawksiani, guardano ad una nuova condizione della femminilità, istituiscono una sconosciuta parità tra i sessi e se gran merito va al genio di Hawks e alla sua invisibilità registica, un riconoscimento va all’attrice, a Lauren Bacall per avere dato forma, pur nella sua giovanissima età, ad una tipologia femminile non ancora all’orizzonte, ma che con lei diventava storia del cinema e passaggio ad una nuova epoca.

Su queste premesse l’attrice ha costruito la propria carriera di diva senza esserlo mai fino in fondo, con la tenacia che le veniva riconosciuta e la sensibilità che aveva acquisito. Era diventata la diva del noir, con il suo sguardo alto, felpato e naturalmente ammaliante e con il viso basso, caratteristiche che le avevano fatto guadagnare l’appellativo seducente di the look. Con il marito come partner girerà ancora il noir La fuga del 1947 per la regia di Dalmer Daves e l’anno successivo L’isola di corallo diretto da John Huston. La giovane attrice cresceva e i suoi ruoli non potevano rimanere legati al noir, che pure tanta fama le aveva dato. Si cimenta nella commedia, quella hollywoodiana, sofisticata e teatralmente cinematografica. Insomma la commedia scintillante, nel neonato cinemascope in technicolor. Come sposare un milionario (1953) di John Negulesco, un altro immigrato diventato americano. Chi avesse pensato che la Bacall fosse fuori posto tra la regina delle commedie, Marilyn Monroe e quella delle pin-up, Betty Grable, si sarebbe sbagliato. La classe innata le permette di affermarsi anche come attrice brillante. La Bacall aveva alzato il volto! Negulesco la volle ancora per il suo film successivo Il mondo è delle donne (1954).

Per la carriera dell’attrice, ancora giovane, nonostante gli standard dello star system di quegli anni, si aprono nuove strade eCome le foglie al vento, 1956 nuovi incontri con i registi più accreditati: Vincent Minnelli per La tela del ragno (1955) e successivamente La donna del destino (1957), William Wellman per Oceano rosso (1955), Douglas Sirk per il cupo e teso melodramma Come le foglie al vento (1956). L’anno successivo sarebbe scomparso Bogart al quale era legata non soltanto per i film interpretati e per il matrimonio che li univa, ma anche per il comune sentire rispetto alla complicata situazione politica degli USA di quegli anni davanti ad un paventato, quanto nei fatti insussistente, pericolo rosso. Il maccartismo insinuandosi pericolosamente tra le pieghe della produzione degli studios creò, questi nei fatti, un clima di sospetto che finì con il frantumare rapporti, amicizie, dando origine a insospettabili tradimenti e infondate calunnie, con l’effetto di isolare ingiustamente artisti di grande levatura. Bogart e Lauren Bacall, da sempre conosciuti come anime liberal insieme ad altri artisti, registi e attori, animarono il CFA (Committee for the first Amendement) che non difendeva posizioni personali, quanto piuttosto i principi di libertà condivisi e sui quali si diceva fosse fondata la democrazia degli Stati Uniti. Lei, peraltro, fu sempre in aperta polemica con alcune major e questo contribuì a tenerla lontana dagli schermi. Non abbandonò mai questo suo tratto politicamente attento, tanto che negli anni ’50 lavorò attivamente durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali accanto al candidato democratico Stevenson. Lauren Bacall conferma sempre i tratti che l’hanno distinta durante tutta la sua carriera, un divismo dimesso, quasi assente, contrapposto ad una presenza scenica che non passava inosservata. Il suo essere star, non ha mai coinciso con quel divismo esasperato a cui l’industria del cinema aveva abituato i suoi spettatori.

Lauren Bacall, Betty Jane PerskeDopo un periodo che la vide protagonista o comprimaria in film non indimenticabili, negli anni ’60 è accanto a Paul Newman in Detective’s story (1966) di Jack Smight. Il film che ricalca le atmosfere hard boiled di Bersaglio mobile di Ross Mcdonald, libro da quale è tratto, vede la Bacall nel ruolo cinico e disincantato di Elaine Sampson committente dell’arguto Harper. Da qui una pausa con il cinema, durata otto anni, durante quali tornò al teatro. Ma un’ottima progressione di film l’aspettava negli anni successivi: Assassinio sull’Orient Express (1974) di Sidney Lumet, il crepuscolare western Il pistolero (1976) di Don Siegel, l’incredibilmente sconosciuto e scomodo Healt (1980) di Robert Altman, per arrivare, dopo alterne vicende, al 1990 con Misery non deve morire, di Rob Reiner, ma già qui ha un ruolo di seconda fila, in un film egoisticamente schiacciato su due soli personaggi. Negli ultimi anni avrebbe ancora lavorato, instancabilmente, anche con Von Trier per Dogville (2003) e Manderlay (2005) e partecipato come doppiatrice al film Il castello errante di Howl  di Hayao Miyazaki del 2004. Nel 2009, dopo alcune nomination, arriva l’Oscar alla carriera che la consacra finalmente tra le stelle di Hollywood, prima che un troppo tardivo pentimento sopraggiunga anche per i membri dell’Academy Awards.

La sua ultima interpretazione è del 2012 e oggi ci lascia un’attrice che in fondo non volle mai essere diva, né oggetto del desiderio, ma che ha colorato col suo sguardo avvolgente un lungo pezzo della storia del cinema.

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