VENEZIA 71 – Con gli occhi chiusi (4): Inadeguatezza (o del perché non voterò più i film…)

 Jack & Ryan

Scriviamo per noi stessi, per un pubblico, esattamente come chi scrive un film. E quando scriviamo, in un modo o nell’altro, costruiamo un’altra storia. Bella o brutta, interessante o noiosa, divertente o triste, ma sempre una storia. Che a mio avviso ha lo stesso valore culturale della storia da cui siamo partiti (il film). Un testo che parte da un altro testo, ma è una “nuova creazione”, che può dare a chi ci legge (il pubblico, il lettore) la stessa gamma di emozioni che può regalare un film. 

Ecco perchè non voterò i film di Venezia 71.

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sentieri selvaggiCi deve essere stato un motivo per il quale, negli oltre vent’anni in cui ho diretto “Sentieri selvaggi”, ho sempre fatto in modo che non ci fossero i “voti ai film”. Non che non si potesse scegliere i migliori, o le proprie personali illuminazioni, ma non c’era nessuna tabella che regalasse ai lettori in una cifra il nostro commento su di un film.  Uno dei motivi che ho sempre indicato come importante risiedeva nel fatto che le nostre recensioni mi sembravano così complesse, articolate, stratificate, che mi appariva offensivo ridurle ad un numero, come se ne ingabbiassimo la libertà di volare e di far volare l’immaginazione di chi leggeva. E quando ci dicevano “non si capisce se un film vi è piaciuto o no”, silenziosamente gongolavo, perché mi sembrava di aver portato a casa un buon lavoro. No, non sono mai stato per la critica come “giudizio”, figuriamoci come voto.

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Ma con la nuova direzione di Simone Emiliani questa cosa, a partire dalla scorsa Cannes per arrivare fino a questa Mostra di Venezia, si è scelta la via del far votare i redattori di Sentieri. Non ho obiettato perché credo nella libertà di chi dirige un giornale e del collettivo redazionale che lo compone (se l’idea fosse stata ritenuta sbagliata la redazione l’avrebbe respinta, immagino).  E da Cannes sul nostro giornale sono così comparse le “pagelle”.

 

Oggi voglio confessare la mia totale inadeguatezza a questo metodo, critico o giornalistico che sia. Confinare in una cifra la complessità analogica del rapporto con un film non mi riesce, e mi rendo conto, subito dopo averli dati, di “non essere d’accordo con i miei voti”. Cosa rappresenta un “5”? e un “7”?  Ogni film mi sembra come se avesse bisogno di più voti, uno per ogni maledetta idea che vi è contenuta dentro… No, proprio non ci riesco a pensare ai film con un giudizio così netto. Forse perché ho sempre pensato ai “film come persone”, esseri viventi e complessi, che mai ci ridurremmo a considerare un numero, se non in una prigione o un campo di concentramento.

ContactUn film vive, respira, è fatto “della materia di cui sono fatti i sogni” (diamo i voti ai nostri sogni?),  e un giorno può farci innamorare e il giorno dopo arrabbiare, lo possiamo dimenticare ma, improvvisamente, un giorno si riaffaccia dai labirinti oscuri della nostra memoria.

 

Ma non è solo per rispetto verso la materia viva del film che non riesco a concepire il voto (e tutta la critica cinematografica che da sempre vive di queste azioni matematiche…), ma anche per rispetto verso chi scrive di un film, verso noi stessi. Scrivere di un film non è giudicarlo, non siamo un tribunale, no, scrivere di cinema è liberare la propria immaginazione dentro le onde stimolate dalla visione di un film. Scrivere di cinema è fare propria quella visione come facciamo nostro un pezzo di pane quando lo mangiamo (grazie Enzo Ungari), e poi metabolizzarla e ridisegnarne un nuovo scenario, una nuova vita, dentro il processo creativo, intellettuale, fisico e scorbutico, della scrittura.  E il film ci sfugge da tutte le parti, entra nelle nostre nuove storie, diventa un frammento di immaginario che ci aiuta a crearne dell’altro. Appunto un testo che diventa un altro testo.

 

Chiediamo a qualcuno di dare i voti ai nostri articoli? Qualche sito lo permette, ai lettori. Ma al lettore, così come allo spettatore, è permesso tutto. Per questo capisco di più quando le persone che amo mi raccontano le visioni di film con un commento e un giudizio finale espresso con un voto. Lo spettatore paga, sempre, la sua visione (non solo in senso economico) e ha diritto ad esprimere il suo giudizio come vuole. Chi scrive di cinema non può far finta di essere uno spettatore: se quello è libero di vedere uno o cento film all’anno, scegliendolo in base ai gusti, attori, attori, generi, oppure ai gusti di amici, amori e così via, chi scrive di cinema vede i film in continuazione, si certo per lavoro, per passione, ma soprattutto, credo, per bisogno. Scrivo e vedo film, dunque sono. La visione e la scrittura si intrecciano in un gioco perverso di andata e ritorno, con al centro il processo complesso e imperscrutabile della “creazione”.  Creo qualcosa, quindi sono Dio… la stessa sensazione che si ha quando si stringono i propri figli tra le braccia, appena nati. Creo qualcuno, quindi sono Dio… che delirio di onnipotenza!

 

Jack & RyanScriviamo per noi stessi, per un pubblico, esattamente come chi scrive un film. E quando scriviamo, in un modo o nell’altro, costruiamo un’altra storia. Bella o brutta, interessante o noiosa, divertente o triste, ma sempre una storia. Che a mio avviso ha lo stesso valore culturale della storia da cui siamo partiti (il film). Un testo che parte da un altro testo, ma è una “nuova creazione”, che può dare a chi ci legge (il pubblico, il lettore) la stessa gamma di emozioni che può regalare un film. E allora ecco che cerchiamo di entrare nella storia, con un’altra storia, ad esplorare le profondità del cuore e delle emozioni che stanno dietro una visione (di un film). A che serve, giudicare? A fare i “critici cinematografici”?  Qualcuno che si nasconde dietro un voto, che si erge a giudice di opere complesse, a volte banali, realizzate da decine (o migliaia) di uomini e donne. 

Quindi, per me, essere costretto a dare un giudizio (o addirittura un voto!) mi appare come una “mancanza di coraggio”, quello che sta dietro chi invece si sporca le mani con la costruzione di storie, belle o brutte che siano.  E invece a me è sempre piaciuto sporcarmi le mani…

Ecco perché non voterò (più) i film di Venezia. Con tutti il rispetto per coloro che a Sentieri continueranno a farlo (e vinca il migliore…)

 

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