Terra di transito, di Paolo Martino

terra di transito
Documentario dalle indubbie capacità tecniche nel raccontare la storia del suo protagonista, lasciando intravedere sguardi intensi sull’umanità ferita ma non perduta di una generazione di giovani, martoriata dalle guerre e dalle devastazioni sociali. Ma è anche un’opera sul nostro Paese, luogo di attesa indesiderata, in cui è bene ormai discutere non più di immigrazione ma di migranti in fuga
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terra di transitoCome migliaia di suoi coetanei in fuga dalla guerra, Rahell ha intrapreso un duro viaggio dal Medio Oriente all'Europa senza visti né passaporto, tentando di congiungersi a un ramo della famiglia che vive da anni in Svezia. Sbarcato in Italia però, ha scoperto che a dividerlo dalla sua meta c'è il regolamento di Dublino, la norma che impone ai rifugiati di risiedere nel primo paese d'ingresso in Unione europea. Anche se per Rahell l’Italia non è altro che una Terra di Transito. Le impronte digitali che ti prendono al primo posto di blocco, non lasciano scampo e non permettono di migrare altrove. Rahell nasce a Suleymania, Iraq settentrionale. Quando nel 1988 Saddam Hussein ordina un attacco chimico sulla città di Halabja, che comporta oltre cinquemila morti e migliaia e migliaia di profughi, Rahell ancora bambino trova riparo a Damasco assieme alla famiglia. La sua rotta personale però porta fino in Europa. Costretto nel 2010 a lasciare anche la Siria, attraversa Turchia e Grecia, dove incontra un’umanità in fuga, scoprendo sulla sua pelle che l'Unione europea, patria dei diritti umani, non ha a cuore le vite di tutti gli uomini. Dal giorno in cui lascia Damasco alla notte in cui arriva a Bari, Rahell è invecchiato di due anni. Dopo quasi venticinque anni dalla sua entrata in vigore, il regolamento di Dublino continua a mietere vittime. La legge europea che prevede l'”appartenenza” dei richiedenti asilo al primo Paese in cui essi lasciano le impronte digitali ha mostrato tutta la sua iniquità.
 
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terra di transitoUomini e donne che dopo aver compiuto pericolose traversate per sfuggire a Paesi in guerra e a condizioni di vita difficili, se non impossibili, si trovano schiacciati da un sistema che li imprigiona, proprio nel momento in cui pensano di aver trovato la libertà. I Paesi di frontiera come l'Italia, la Spagna e la Grecia, non sono in grado di garantire dei reali percorsi di integrazione e, nel nostro Paese, questo succede perché da sempre si è deciso di gestire il fenomeno delle migrazioni in un ottica di “emergenza”. Qualcuno dice che sarebbe stato meglio morire in Afghanistan che giungere in Italia, terra in cui si muore tutti i giorni. Ed è così che l'Italia diventa terra di transito, penisola percorsa dal Mediterraneo fino alle Alpi da persone che cercano di raggiungere il Nord come fuggiasche. Prevedere, come fa il regolamento di Dublino, che i richiedenti asilo possano ricongiungersi solo con i familiari in linea di discendenza diretta è un controsenso. Significa imporre a chi richiede protezione il modello familiare occidentale, composto da piccoli nuclei, ed essere ciechi rispetto alla elementare evidenza che in altri paesi del mondo la famiglia è altro. Per Rahell quindi ricongiungersi con la zia a Stoccolma potrebbe essere impossibile. La domanda oggi è: transitante o dublinante? Far parte della seconda categoria significa trascorrere una vita da fuggiasco o da internato senza speranza. L'Italia, un tempo meta ambita, è ridotta ormai a una terra di transito, un luogo di attesa, di indesiderata sosta prima del salto al cuore d'Europa.
All'appello quotidiano dei propri giovani in fuga, l'Italia deve ormai sommare la lista degli stranieri che, approdati sulle sue coste, proseguono verso Nord, senza voltarsi mai. Terra di Transito quindi non è un film sull'immigrazione, ma un film su una generazione migrante.
 
Il trentenne autore Paolo Martino, reporter e documentarista, vive da anni in Medio oriente. Nel 2011 ottiene un premio giornalistico europeo seguendo la rotta dei rifugiati afghani dal Kurdistan all'Italia. Nel 2012 viaggia dal Caucaso a Beirut seguendo i luoghi e la storie della diaspora armena mediorientale. Nel 2013 il suo documentario Just about My Fingers sulla condizione dei rifugiati in Grecia riceve vari riconoscimenti. Corrispondente di Osservatorio Balcani e Caucaso, collabora con riviste e piattaforme mediatiche italiane ed estere. Il suo Terra di Transito è un mediometraggio dalle indubbie capacità tecniche nel raccontare la storia del suo protagonista, lasciando intravedere sguardi intensi sull’umanità ferita ma non perduta di una generazione di giovani martoriata dalle guerre e dalle devastazioni sociali. Anche l’Italia, che non sarebbe un Paese in guerra, almeno sul proprio territorio, ormai non ha nessun potere attrattivo e le risate di quei ragazzi immigrati in Svezia per il sussidio di 75 euro al mese che il nostro paese elargirebbe nel sostentamento di ogni singolo extracomunitario, valgono più di mille parole. Destino che sia proprio un proverbio arabo a recitare: “Tutte le strade portano a Roma”… magari ad incontrare quei corpi ormai invisibili assembrati alla stazione Ostiense.  
 

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Regia: Paolo Martino
Origine: Italia/Svezia, 2014
Distribuzione: Istituto Luce-Cinecittà
Durata: 54'

   

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