La buca, di Daniele Ciprì

Una strana coppia nel cinema italiano, tra frammenti d'animazione e in cui il grottesco prevale sul realismo. Una post-commedia all'italiana con 'soliti ignoti' in un pastrocchio al limite del fantastico dove La buca sembra il nonno di Fantasmi a Roma di Pietrangeli e non un film girato 53 anni dopo. La decadenza di un cinema italiano già decrepito

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Una strana coppia. Ma non sono Jack Lemmon e Walter Matthau ma Sergio Castellitto e Rocco Papaleo. Un contrasto tra opposti. Il primo è un avvocato, Oscar, che cerca sempre di arricchirsi con qualche truffa ai danni di qualche povero malcapitato. L'altro è Armando, 27 anni trascorsi dietro le sbarre senza aver commesso il crimine di cui è accusato. I loro destini si incrociano in un bar, a causa di un cane. Da quel momento, dopo uno scontro iniziale, Oscar ha l'idea di far riaprire il caso di Armando, intentando una causa milionaria contro lo Stato.
 

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Una strana coppia nel cinema italiano, in un film che vorrebbe essere straniante. Con frammenti di animazione (i titoli di testa), una favola alla Frank Capra e una 'commedia all'italiana' dove il grottesco prevale sul realismo. Come se James Stewart o Gary Cooper incontrassero Vittorio Gassman. Ma le marionette del cinema di Daniele Ciprì restano lì, appese a mezz'aria, chiuse in quello spazio dove c'è la buca in strada così come quell'esterno dell'abitazione della famiglia Ciraulo in E' stato il figlio. Sono i nuovi mostri di un film che perde le sue coordinate temporali, che galleggiano in una materia di colori pastosi, come se il digitale ancora non esistesse.

Il tempo si è fermato. Dai freaks del suo cinema passato, dove l'assenza di Maresco mette ancora di più in evidenza come questi corpi siano sempre più senza sfondo.
La grinta della commedia all'italiana non è più neanche un ruggito. Soliti ignoti in un pastrocchio al limite del fantastico dove La buca sembra il nonno di Fantasmi a Roma di Pietrangeli e non un film girato 53 anni dopo. La decadenza di un cinema italiano già decrepito, che si alimenta di continue ispirazioni (i lampi e il bianco e nero di Frankenstein junior) per però lasciare emergere quella prevalente dello sguardo di Ciprì, in un cinema che ridisegna i suoi luoghi e gestisce il suo tempo. Quasi la versione italiana di Jean-Pierre Jeunet di Il favoloso mondo di Amélie. Ma non è un complimento. La similitudine è solo in un set/trappola. Con Valeria Bruni Tedeschi confinata dentro un bar come se ci si fosse persi per caso in quelle introspezioni sentimentali del cinema di Claude Sautet senza però sentire mai cuori in inverno che battono e Sergio Castellitto che quando è a briglia sciolta, va fuori giri. Altro che mattatore. Solo esercizi di un cinema già pallido, che (non) vorrebbe essere commedia di costume e che inciampa sin da subito nella buca che si è preparato. Come se quella fosse già la sua tomba.

 

Regia: Daniele Ciprì
Interpreti: Sergio Castellitto, Rocco Papaleo, Valeria Bruni Tedeschi, Jacopo Cullin, Ivan Franek
Origine: Italia, 2014 
Durata: 90'
Distribuzione: Lucky Red

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