STARDUST MEMORIES – Warren Oates. L'urlo e il furore

warren oates in voglio la testa di garcia

Rivedendo la sua strabiliante performance in Two Lane Blacktop, Richard Linklater dirà: "Because there was once a god who walked the Earth named Warren Oates”.Legato soprattutto al cinema di SamPeckinpah ed Monte Hellman, morì d'infarto a sli 53 anni lasciando il rimpianto per potenzialità infinite mai veramente espresse completamente.

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warren oates in voglio la testa di garciaLa figura di Warren Oates è indissolubilmente legata a due mostri sacri del cinema “sidestream” americano, Sam Peckinpah e Monte Hellman che, nel corso degli anni '60 e '70, la portarono a un altissimo livello di popolarità e visibilità internazionale.

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Nato a Depoy nel Kentucky nel 1928, Warren Oates ebbe la sua prima formazione presso l’ Accademia d’arte drammatica a New York e incominciò la sua carriera interpretando alcuni drammi per la televisione (Studio One, Ai Confini della Realtà). Ma la sua corporatura, i suoi lineamenti rudi (aveva una conformazione labiale e mascellare molto simile a quello del coetaneo James Corburn), la sua voce dal tono basso, l’anticonformismo e una certa dose di follia lo resero interprete ideale del genere western prima in numerose serie televisive e poi al cinema dove fu determinante l’incontro con l’alter ego Sam Peckinpah.

warren oates in strada a doppia corsiaIl primo progetto in comune è Sfida nell’Alta Sierra (1962) che vede Oates spiccare nel ruolo sgradevole di uno dei fratelli Hammond, particolarmente lercio e vizioso, che volge le sue attenzioni alla bella cognata Elsa (Mariette Harthley). In Sierra Charriba (1964) interpreta il personaggio di O.W. Hadley che verrà sacrificato al montaggio finale della versione di 136 minuti, imposta dai produttori (il director’s cut prevedeva 278 minuti). Un ruolo più importante lo aspetta nel capolavoro Il mucchio selvaggio (1969) dove è Lyle Gorch, puttaniere e semialcolizzato, immortalato in un’orgia tra vino e prostitute, ma pronto al riscatto nel leggendario finale. E’ in Voglio la testa di Garcia (1976) però che Warren Oates diventa l’indiscusso mattatore, nel ruolo ambivalente del pianista Bennie, che rivela contemporaneamente la rudezza e la fragilità di un uomo che si confronta con la falsa mitologia di un passato andato irrimediabilmente perduto. Tutto il film è attraversato da questo senso di sconfitta permanente (“Cosa c’è di sano in me, niente…”), con una dissoluzione decadente della propria volontà (“Non sono mai stato in un posto dove vorrei ritornare…”) che ha un ultimo sussulto di rabbia prima di scomparire. Per arraffare la taglia di 10000 dollari, Bennie scende al più basso livello di abiezione morale, uccide (anche se per legittima difesa), profana una tomba e perde Elita (Isela Vega) l’amore della propria vita. Lo spettro di questa mancanza scatena la follia autodistruttiva che si conclude con l’assassinio della figura paterna surrogata.

Warren Oates somatizza nei propri lineamenti ruvidi l’urlo muto disperato di fronte alla consapevolezza del proprio orrore e il furore cieco che vorrebbe in un solo gesto mettere a posto le ingiustizie del mondo: la sua è una generazione perduta, cinica e disillusa; troppo vecchia per potersi rifare una verginità, troppo giovane per considerarsi in età pensionabile.

warren oates in la rabbia giovaneL’altra svolta determinante per la carriera dell'attore è l’incontro con Monte Hellman, e la conseguente partecipazione a due film seminali in cui vengono disegnati altrettanti personaggi memorabili: La sparatoria (The Shooting, 1966) è un western metafisico e anacronistico (in cui ogni personaggio nasconde un dolore segreto invisibile), una riproposizione del mito di Sisifo in cui Oates ingaggia un vero e proprio duello con se stesso, in una salita ripida (il pendio roccioso del finale) alla ricerca del proprio gemello, inseguitore-inseguito. E poi Strada a doppia corsia (Two-Lane Blacktop, 1971), sicuramente la sua più grande performance nei panni di un logorroico mitomane con la passione per la sua Ferrari GTO: la sua vacuità, la sua arroganza, il confabulare autocompiaciuto vanno di pari passo con le corse in auto senza nessuna direzione o scopo.

Dalla strada di Kerouac si passa a quella di confine di Cormac McCarthy fino alla Road to Nowhere: varcato il confine di sé stessi (“Across the border” è anche il titolo di un documentario del 2007 girato da Thom Thurman proprio sulla tormentata vita dell’attore), il punto d’arrivo non esiste, rimane un loop infinito, un circolo vizioso che viene interrotto solo dalla morte. Non è un caso che John Milius gli affidi la parte di Dillinger nella sua omonima opera prima del 1973, in cui la somiglianza dell’attore con il vero bandito è strabiliante, non solo nell’aspetto fisico ma anche nei gesti e nella intonazione della voce. Dello stesso anno è la sua partecipazione all’opera prima di Terrence Malick, La rabbia giovane (Badlands) dove è il padre sacrificato dalla follia omicida dei due “natural born killers” Kit (Martin Sheen) e Holly (Sissy Spacek). Da ricordare ancora la sua importante presenza nel thriller di successo La calda notte dell’ispettore Tibbs (1967) di Norman Jewison e la frequentazione con l’indipendente Peter Fonda (Il ritorno di Harry Collings del 1971 diretto dallo stesso Fonda e il mefistofelico In corsa con il diavolo del 1975 di Jack Starrett).

warren oates in stripesGli ultimi anni di carriera sono caratterizzati da problemi di salute e dalla dipendenza da alcool: ottiene due ruoli importanti nelle commedie 1941: Allarme ad Hollywood (1979) di Steven Spielberg e Stripes. Un plotone di svitati (1981) di Ivan Reitman dove regge dignitosamente la parte comica del sergente Hulka, facendo un po’ il verso a sé stesso, simulacro agonizzante di un “loser” che non chiede più nulla alla vita.

Muore di infarto a soli 53 anni nel 1982 lasciando un vuoto incolmabile e anche il rimpianto per potenzialità infinite mai veramente espresse completamente. L’ultimo film (che uscirà postumo e dedicato alla sua memoria) è Tuono blu (1983) di John Badham. Tanti anni dopo, rivedendo la sua strabiliante performance in Two Lane Blacktop, Richard Linklater dirà: "Because there was once a god who walked the Earth named Warren Oates”. E non possiamo davvero dargli torto.

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