TORINO 32 – Giorno 3 – Fantasmi

http://josephinepennicott.com/http://www.sentieriselvaggi.it/wp-content/uploads/2014/05/151187-3df4ffb0-dbf7-11e3-8125-0ad81a58de5e.jpg

Tante interessanti opere in questo Festival evocano visioni fantasmatiche, memorie perdute o presenti invisibili. Come il bell’horror australiano The Babadook, l'ennesimo film-esperienza di Lav Diaz MGA ANAK NG UNOS, UNANG AKLAT, o il ritorno di Debra Granik con Stray Dog. Passando poi per il passato della Resistenza de La creazione del significato sino alle interessantissimi Onde di giornata Josephine Decker e Emiliano Grieco

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http://josephinepennicott.com/http://www.sentieriselvaggi.it/wp-content/uploads/2014/05/151187-3df4ffb0-dbf7-11e3-8125-0ad81a58de5e.jpgI Fantasmi di Torino. Tante interessanti opere in questo Festival evocano visioni fantasmatiche, memorie perdute o presenti invisibili, passato del cinema e delle storie. Come il bell’horror australiano The Babadook (Concorso) della giovane Jennifer Kent, film che ha il notevole coraggio di tornare al cuore pulsante degli archetipi base del genere (il “buio” sotto il letto, i mostri nati dal nostro inconscio e dai traumi che condizionano la “luce” del giorno), ovviamente associati alla fase dell’infanzia e al delicato rapporto madre-figlio dalle forti venature edipiche. E ciò che appare è il “fantasma” dalla Storia del Cinema con la riemersione delle immagini di Melies o il riferimento all’espressionismo tedesco di Wiene e Lang; i colori forti del gotico di Bava e Corman e il chiaroscuro dell’horror soprannaturale di Polanski e Friedkin; sino ai sottili ma evidenti rimandi al primo David Lynch. Tutto questo fortissimo apparato citazionista, però, aleggia leggero nel nostro sguardo come un fantasma mai invadente: The Babadook riesce a restare ingenuo e naif tanto da far emergere il perturbante classico come pochi horror negli ultimi anni hanno fatto.

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http://1.bp.blogspot.com/-d9V22pp5kNY/VG26yntEgmI/AAAAAAAAIQQ/md5InEK5YDU/s0-c/tumblr_nce9w6OQqb1qghb8io3_1280.jpgFantasmi, quindi. Uno degli eventi del festival, sicuramente, era il misterioso progetto targato Lav Diaz MGA ANAK NG UNOS, UNANG AKLAT. Ennesimo straordinario film-esperienza, di una radicalità estrema e necessaria, dove Diaz continua imperterrito a sondare i territori abituali del suo filmare (il dopo tifone, le macerie, cosa rimane dell’umano?) rinunciando questa volta a qualsivoglia appiglio narrativo in favore di un pedinamento ossessivo che alla lunga diventa il balenare di fantasmi cancellati dalla storia. Ragazzini che cercano qualcosa e nel frattempo giocano nelle macerie del mondo. Ragazzini che (r)esistono solo nelle sue immagini, in inquadrature lunghissime e di una potenza simile solo al tifone Yolanda che ha distrutto ogni paesaggio. Diaz da un lato testimonia un liminale stato delle cose e dall’altro perpetua la sua dirompente politica delle immagini, povere e orgogliose come i suoi protagonisti, una vera sfida allo spettatore, un privilegio raro quello di continuare a seguire l’itinerario sublime di questo autore. Sino a un finale in apnea, dove tutta la furia testimoniale manifestata sin lì si placa in una estatica epifania visiva: le navi abbandonate, enormi ruderi di un sistema economico allo sbando, utilizzate dai piccoli ragazzi per tuffarsi nell'acqua, sotto la pioggia. Veramente il cinema al suo grado zero, distillato e depurato da qualsivoglia “detrito”. Un autore immenso.

http://www.screendaily.com/pictures/636xAny/8/9/5/1197895_Stray-Dog.jpgSpostiamoci in Festa Mobile. Bella prova di Debra Granik (tornata a Torino dopo il successo di Un gelido inverno), che torna nel Sud degli Stati Uniti per farci incontrare Ron Hall detto Stray Dog, un vecchio bicker e reduce dal Vietnam che si barcamena tra i fantasmi del suo passato e le piccole gioie di una famiglia sempre più multirazziale. Esperimento di documentario che sfonda ben presto il muro della fiction per poi tornare alla documentazione di un’America nascosta, lontanissima dalle luci delle big Town, dove il Vietnam è ancora un incubo da esorcizzare con parate e rimemorazioni continue, e dove l’Iraq diventa l’ennesimo “est” dove spedire i propri figli per “rendere l’America migliore” e farli ritornare diversi e traumatizzati. Ci si  tuffa nella strada, il viaggio, con i chopper nelle road che si incunenano nel paesaggio. Piccoli momenti di vita che raggiungono una notevole valenza di cinema antropologico, facendoci comprendere una cultura e una persona, con pazienza e onestà. Certo: questo è anche ritratto che pecca a tratti di eccessivo voyeurismo, che risulta a volte zavorrato da eccessiva retorica, ma che rimane comunque un’esperienza preziosa. Una visione unica.

Fantasmi. Come la memoria della Resistenza in Italia de La creazione del significato (Tff Doc) di Simone Rapisarda Casanova: lì sulle Alpi Apuane, dove conoscere un presente inzuppato di passato, dove il pastore Pacifico ci parla con commovente sincerità illuminando zone invisibili del nostro Paese. Un film importante che vale più per le ottime premesse che pone (l’oltrepassare e sfumare il confine tra documentario e fiction, far apparire i partigiani come esseri fantasmatici materializzabili solo da un film nel film che raggiunga una verità più intima e una memoria più "autentica"),  rispetto all'effettiva messa in scena un po' incerta nel maneggiare tutti questi spunti e suggestioni. Problemi non tanto imputabili alla regia (efficaci e potenti alcune soluzioni visive), ma derivanti piuttosto da un impianto ideologico troppo pesantemente manifesto che a tratti toglie respiro al film forzandone le interpretazioni. Detto questo, La creazione del significato rimane comunque un felice esperimento di docufiction, a riprova di un movimento italiano di cinema del reale veramente in una stagione d’oro.

http://media.eldiario.com.ar/fotos/2011/11/14/o_1321240737.jpgE poi ci sono gli interessantissimi fantasmi delle Onde di giornata. Si inizia con Butter on the Latch di Josephine Decker, un film dove il perdersi di due giovani donne nella foresta oltre-città fa esplodere un gorgo di pulsioni (filmiche) che oscillano tra l’attrazione/repulsione per il sesso e l’incombenza della desiderio oltre il buio del bosco. Un film sperimentale e ambiziosissimo, che materializza fantasmi inconsci in immagini vivide e memorabili, un film forse non del tutto riuscito, ma che dimostra un notevole talento grezzo in questa giovane cineasta che maneggia il cinema con libertà invidiabile. Infine La Huella en la Niebla di Emiliano Grieco, che ci immerge nel cinema argentino contemporaneo con la forza delle atmosfere di Lisandro Alonso: immagini folgoranti che ridiscutno costantemente il visibie e lo plasamano sul marasma interiore (che rimane misterioso) del suo giovane protagonista. Altro film sbilanciato e sanamente ambizioso, che non arriva ancora alle vette del più esperto e consapevole Alonso, ma che sa concederci attimi di fascinazione visiva che stordiscono per potenza e sacrosanta fiducia nel Cinema.

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