Cub – Piccole prede, di Jonas Govaerts


Comincia come tanti altri horror, ma ben presto Cub – Piccole prede si trasforma in una fiaba nerissima sulla sopravvivenza e sulla necessaria adesione a un Male antico e ancestrale. Il giovane regista belga riflette sull'eredità dell'orrore, mettendo al centro del film dei bambini costretti a trasformarsi in carnefici per poter sopravvivere

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Il tòpos è ancora quello dello spostamento verso una destinazione, tipico motore narrativo in grado di garantire la conseguente mattanza incontrollata dei personaggi: una vera e propria costante senza la quale verrebbe da dire che, oggi, buona parte del cinema horror non saprebbe quale storia raccontare. Qui la meta è rappresentata da un bosco, ma potrebbe essere benissimo una casa infestata, un luogo delle vacanze, un villaggio sperduto di provincia, senza spostare il risultato di una virgola. Per tutta la prima parte infatti Cub – Piccole prede ricalca fedelmente i sentieri del già visto, evitando di inseguire qualsivoglia forma di originalità nel plot, perché lo slasher – si sa – ha le sue regole, e poco importa se alla fine queste sono sempre le solite. Ed ecco allora che ci ritroviamo a seguire le vicende di questi boyscout poco più che bambini, accampati in mezzo alla natura selvaggia che, ovviamente, nasconde una minaccia terribile per tutti loro. Date anche queste premesse, tutto sommato poco stimolanti, l’esordio di Jonas Govaerts correva il rischio di confondersi in mezzo alle tante proposte horror che affollano le sale italiane, contraddistinte da una comune scarsità di coraggio e da un’adesione fin troppo calcolata verso gli aspetti più commerciali del genere.

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E invece il giovane regista belga si dimostra capace di sfruttare al meglio tutti gli elementi a sua disposizione: Cub (Welp in originale, ed entrambi i termini significano cucciolo, piccolo) si trasforma presto in una fiaba nerissima sulla sopravvivenza e sulla necessaria adesione a un Male antico e ancestrale. Come vittime di una sorta di malattia del sangue, eredità degli errori (e degli orrori) della generazione che li ha preceduti, i bambini si ritrovano a lottare e uccidersi tra di loro, immergendosi – letteralmente – nel fango e nella melma, solamente con lo scopo di uscirne carnefici a loro volta. Senza happy end, senza nessuna consolazione: Govaerts guarda al cinema dei maestri e sa come rendere loro il giusto omaggio (i Goblin di Suspiria come suoneria del cellulare), ma poi prosegue diritto per la sua strada.

Proprio come in Suspiria, infatti, osa pericolosamente sulla giovanissima età dei suoi protagonisti: ma al contrario di Argento (che non ha mai ritenuto necessaria una connotazione esplicitamente politica del suo cinema, perché quella sua anarchia dell’immagine era già di per sé una presa di posizione sufficientemente eloquente), qui l’orrore è davanti agli occhi di tutti, tanto nelle sue cause che nelle dolorose e necessarie conseguenze. Necessarie se si vuole sopravvivere. Con una coerenza di intenti e un politicamente scorretto impensabili in un prodotto americano (almeno in quelli mainstream), Cub entra di diritto tra le migliori uscite horror dell’anno: considerando che il meglio è ancora inedito in Italia (It Follows, The Babadook, At the Devil’s Door), il film di Govaerts è una piccola grande occasione che l’appassionato farebbe bene a non lasciarsi scappare.

 

Titolo originale: Welp

Regia: Jonas Govaerts

Interpreti: Evelien Bosmans, Jan Hammenecker, Maurice Luijten, Stef Aerts

Origine: Belgio, 2014

Distribuzione: Notorius

Durata: 84'

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