La storia di Cino – Il bambino che attraversò la montagna, di Carlo Alberto Pinelli


Il regista si prodiga nell'uso delle fonti orali trasmesse da vecchi montanari, abitanti le valli del cuneese, che gli hanno narrato la storia tipica delle zone. Un bambino che tra tanti viene affittato a malgari delle valli francesi attigue per lavorare negli alpeggi estivi, fugge per tornare verso casa. In bilico tra realtà e fiaba, una riedizione contemporanea e bucolica di Pollicino

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La storia di Cino, il bambino che attraversò la montagna, di Carlo Alberto Pinelli

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Valli cuneesi, sul finire del 1800.
Le fonti orali che narrano le storie di sottomessi, proletari, allevatori sono quelle che Nuto Revelli, per primo in Italia (e non solo) considera valide, al pari di quelle 'ufficiali', assecondando l'intuito piuttosto che il metodo (Marc Bloch) da cui pure attinge involontariamente. Come la fiducia nelle fonti orali provenienti ''dalle voci dal basso'' ha consentito di ri-scoprire mondi sconosciuti, perchè vinti dalla storia, così l'indagine di Pinelli, il vaccaro Cino che sul finire del 1800 viene 'affittato' (dalla misera famiglia di provenienza) per mezza lira, nell'attesa vana di un'altra metà…Pinelli incontra Revelli (nato, cresciuto nelle zone del cuneese) sostenendo la veridicità della fonte orale e Revelli incontra Pinelli quando gli racconta, dal vivo, l'esistenza del carro che trasportava le giovani forze dal Piemonte oltralpe, nel territorio francese compreso tra Marcantour e Ubaye.

 

E' proprio il carretto l'immagine meno veritiera del film con un green screen che distorce la nozione di realtà ma che pure è nella sua incompiutezza realistica varco (involontario) verso il fantastico in cui spesso di lì a breve inciamperemo. L' anticipazione (di quest'ultimo elemento) sta già tutta dentro il nome del protagonista, residuo del nomignolo Polli(Cino) e riedizione contemporanea della fiaba. Solo con l'evolversi della storia reale (nuovo padre/padrone, lavoro) e soprattutto l'inasprirsi dei toni (sfruttamento) scivoliamo di diritto nella dimensione fiabesca come esotica (esoterica?) e necessaria perdizione tra le vie di fuga della 'mente' che restituiscono immagini talmente fulgide da sembrare solide come la materia. Le vie di fuga reali, invece, tra sentieri impervi e passi impossibili, incontrano i segnali della natura che solo chi ascolta, come la giovane accompagnatrice/guida Catlin, può percepire. Ma cosa è reale cosa non lo è? Mondo reale e onirico si confondono in qualche modo (continuamente) e la sensazione di indefinitezza, che pure permane (anche se a stento) fino alla conclusione, è accompagnata da suoni e luci naturali troppo armoniosi. La riedizione 'bucolica' della fiaba dark rende la narrazione chiara sin dalla prima inquadratura. Cosa avrebbe restituito un impianto più complesso e oscuro?

 

Se apprezzabile è lo sforzo di dare voce ad eventi poco conosciuti, come sempre più spesso il cinema nostrano fa (anche se con esiti scarsi, vedi Il leone di vetro) – in questo caso attraverso l'uso di fonti orali, la costruzione di una storia che ha richiesto anni, la difficoltà di girare dentro scorci incredibili –  l'esplicita direzione del film e la presenza dissonante di un'attrice bambina dalla voce rompi-timpani, ammutinano una nave che pure potrebbe viaggiare spedita…

 

 

Titolo originale: The Story of Cino 
Regia: Carlo Alberto Pinelli
Interpreti: Stefano Marseglia, Francesca Zara, Marc Andréoni, Giovanni Anzaldo, Philippe Nahon, Donato Sbodio, Luisa Marie Seravesi, Jean-Louis Culloc'h, Giada Laudacina

Origine: Italia, Francia, 2013
Distribuzione:
Durata: 85'


 

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