St. Vincent, di Theodore Melfi

manifesto st. vincentCome nella più classica tradizione del cinema statunitense indie, il politically uncorrect si fa canone, convenzione pigra, diventa presto correct. Così la storia del santo Vincent è esemplare per i ragazzini d’America e la raffinata mestizia di Bill Murray diventa perfetto costume freak da studiare sui libri di scuola

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Negli ultimi quindici anni Bill Murray è diventato il performer ideale dei giovani autori americani. Tutto è cominciato con Wes Anderson e Sofia Coppola che – l’uno diversamente dall’altra – ebbero l’ “intuizione” di rielaborare il trasandato cinismo comico del protagonista di Sos Fantasmi, ridisegnandolo con una maschera malinconica, un po’ intellettualizzata, adatta alla sofisticata ribalta di opere come Lost in Translation e Le avventure acquatiche di Steve Zissou. A un certo punto, tanto per non sbagliare, è arrivato anche il Don Giovanni crepuscolare di Broken Flowers a istituzionalizzare l’icona del nostro. Oggi il circuito si è perfettamente compattato: Bill Murray è un attore “serio” e non poteva andare diversamente, anche perché senza alcun dubbio è un grandissimo interprete. Ma allora perché mai questo St. Vincent è così difficile e antipatico a partire proprio dall’impeccabile protagonista? Diciamo che di tutto questo percorso attoriale (e autoriale) compiuto da e su Bill Murray il film di Theodore Melfi ne è ultra consapevole. Anzi, come vedremo, ne è uno studio quasi definitivo. Del resto quale miglior corpo d’attore usare per raccontare un alcolizzato sessantenne, solitario e zeppo di debiti, che trascorre come fosse un simil Bukowski le giornate alle corse, ma che allo stesso tempo, quasi di nascosto, va a trovare affettuosamente la moglie malata di Alzheimer?

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Murray (prontamente candidato al Golden Globe) nel suo dosare sottrazione ed accelerazione è perfetto. Ma questo lo sappiamo. Il suo Vincent è un residuo di società che vive di espedienti, un po’ meno simpatico e visionario del coeniano grande Lebowski, maggiormente dilaniato dal dolore e dalla fatica di vivere. È un uomo che dietro la sua corazza ha sofferto le pene dell’inferno. È forse un santo, come spiega alla sua conferenza di classe il piccolo Oliver. Il ragazzino di fatto è il “vero” protagonista di questo racconto di formazione un po’ all’americana e forse anche stretto parente di un certo neorealismo rosa. Il bambino ha i genitori separati, viene preso di mira a scuola ed è costretto a tirare avanti con una mamma che fa i turni tutta la giornata in ospedale. Finchè non viene affidato a Vincent, il vicino di casa ombroso, talmente squattrinato che si fa persino pagare quelle sue anomale giornate da babysitter. I due diventano amici. Accendono la luce l'uno nella vita dell'altro.

Uno dei punti più assurdi e spiazzanti del film è che la tenera parabola di questo ragazzino alla ricerca di una figura paterna viene paradossalmente ostacolata proprio dalla massiccia presenza di Murray/Vincent e di tutti gli altri personaggi di contorno. Questi invece di arricchire lo sfondo lo ingolfano, recitano come se avessero in mente un altro film, ostacolano la linea emotiva dello script: vale sia per la simpatica coprotagonista Melissa McCarthy (interpreta la mamma del bambino ed è anche lei candidata al Globe) i cui tempi comici non aspettano altro che esplodere nei telefonati monologhi isterici sulla sua incapacità di badare al figlioletto, sia per la macchietta della prostituta dell’est Daka (Naomi Watts, nomination ai SAG Awards). Il peccato originale risiede quindi nell'inclinazione performativa del cast che in fin dei conti non fa altro che tradire la furbizia di una confezione assolutamente alllineata alla produzione finto low budget di serie A, buttando via completamente ogni complessità al percorso di maturazione di Oliver. Il discorso finale di quest’ultimo è una tesina da leggere a persone perbene. Come nella più classica tradizione del cinema statunitense indie, il politically uncorrect si fa canone, convenzione pigra, diventa presto correct. Così la storia del santo Vincent è esemplare per i ragazzini d’America e la raffinata mestizia di Murray diventa perfetto costume freak da studiare sui libri di scuola.

Titolo originale: id.
Regia: Theodore Melfi
Interpreti: Bill Murray, Melissa McCarthy, Naomi Watts,Jaden Lieberher, Chris O'Dowd
Origine: USA 2014
Durata: 102'
Distribuzione: Eagle Pictures

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