Il cacciatore di anatre, di Egidio Veronesi

Così come della guerra non vediamo niente, ogni cosa è semplicemente allusa e mai mostrata. Non c'è tempo per nulla, neanche di affezionarsi ai personaggi che tutti sono già morti. Il tentativo di riproporre l'Amarcord felliniano non riesce perché è la ricerca del lirismo esasperato a portare fuori strada l'opera di Egidio Veronesi.

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Mario, ormai vecchio e stanco, ricorda con nostalgia i giorni della sua giovinezza. L'Italia degli anni '40, la paura della guerra, una vita dedicata al lavoro e al mantenimento della famiglia, ma anche una vita fatta di amicizie e di sogni. E il film pur vivendo nella potenza del ricordo, cerca una dimensione sospesa a metà tra vissuto e realtà, ma non riesce a trovare questo spazio. Significativamente è la storia per prima a mostrare i limiti di un'impostazione che punta alla sovrabbondanza emotiva a tutti i costi.
 

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La trama è così eccessivamente tragica, da sacrificare tutti i personaggi solo per caricare di pathos il finale. Tra la morte degli amici, che nelle più sfortunate circostanze vengono a mancare (tra cui anche il cacciatore di anatre, poco più che un comprimario) e il tema dell'arte come possibilità di redenzione da un mondo fatto di pene e sofferenze non c'è nessun punto di contatto: dall'acquisto del pianoforte a inizio film si potrebbe balzare direttamente al finale senza diminuire di potenza il senso di malinconia che pervade l'ormai anziano narratore. Sì certo, c'è la Seconda guerra Mondiale che proietta la sua ombra anche sul più idilliaco (?) dei paesini del nord-italia, ma è tutto un'eco così lontano, la Storia non riesce a permeare la vita dei personaggi del Cacciatore di Anatre. Anzi la giustapposizione con i filmati di repertorio non fa che amplificare il senso di irrealtà in cui si trova immerso il film.

 

Così come della guerra non vediamo niente (solo il pretesto per far allontanare il protagonista, giusto in tempo per sorprendersi dell'ennesima morte) a parte un gruppo di fascisti prima e dei soldati alleati che offrono gomme da masticare poi, tutto è semplicemente alluso e mai mostrato. Non c'è tempo per nulla, neanche di affezionarsi ai personaggi che tutti sono già morti. Il tentativo di riproporre l'Amarcord felliniano, e i punti di contatto sono infiniti, dall'ambientazione al seno sproporzionato della figlia dell'oste (chiaro rimando alla Titta di Fellini), non riesce perché è la ricerca del lirismo esasperato a portare fuori strada l'opera di Egidio Veronesi, che cercando di emozionare in continuazione lo spettatore crea soltanto una distanza incolmabile tra la visione, il cinema e la memoria del passato.

 


Regia: Egidio Veronesi
Interpreti: Federico Mazzoli, Francesca Botti, Giorgio Paltrinieri, Augusto Gatti
Distribuzione: Whiterose Pictures
Durata: 94'
Origine: Italia 2011

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