I Cavalieri dello Zodiaco – La leggenda del Grande Tempio, di Keiichi Sato

Il reboot della serie classica condensa l’intera prima stagione di episodi animati in appena un’ora e mezza di durata, risultando un riassunto frenetico e vorticoso. Una tecnica di animazione stupefacente ma fredda, che fallisce nel tentativo di rendersi fruibile dalle nuove generazioni con un universo narrativo qui semplicemente abbozzato

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La Toei Animation ci riprova: a un anno di distanza dall'ottimo risultato di Capitan Harlock 3D, ecco arrivare un nuovo lungometraggio di animazione che rivisita in chiave moderna una delle serie più famose e amate di sempre, I Cavalieri dello Zodiaco. Incredibile successo televisivo degli anni ottanta, Saint Seya (questo il nome originale) si basava sul manga omonimo di Masami Kurumada del 1985: 114 episodi in totale, andati in onda dal 1986 al 1990, senza contare il rilancio della saga avvenuto agli inizi degli anni duemila con una nuova serie OAV, romanzi, fumetti e quant’altro; un universo narrativo vasto e ricchissimo, in grado di entrare anche nell’immaginario collettivo degli spettatori italiani, nonostante un adattamento dei dialoghi inizialmente poco fedele nei confronti della versione originale. I Cavalieri dello Zodiaco – La leggenda del Grande Tempio si pone quindi un duplice obiettivo: da un lato quello – decisamente rischioso – di rivolgersi agli appassionati di vecchia data, reinterpretando un classico dell’animazione discostandosi dal character design classico di maestri come Shingo Araki e Michi Himeno; dall’altro quello di coinvolgere la fetta di pubblico rappresentata dai più giovani, quelli che non hanno avuto la possibilità di conoscere la saga sul piccolo schermo.

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Il risultato purtroppo sembra non riuscire pienamente in nessuno dei due intenti: il film di Keiichi Sato condensa l’intero arco narrativo della prima stagione (circa sessanta episodi) in appena novanta minuti di durata, sacrificando la chiarezza narrativa sull’altare della spettacolarità visiva. Spettacolarità che non viene mai messa in discussione, certo, grazie a una tecnica di animazione stupefacente in grado di proiettare i combattimenti, le armature e i dettagli direttamente nel futuro dell’immagine, con buona pace di tutti i nostalgici che mal sopportano le innovazioni in CGI; ma è anche, inevitabilmente, un’animazione fredda e distante, forse troppo debitrice della grafica dei videogiochi per poter creare volti ed espressioni in grado di emozionare davvero. In questo riassunto frenetico e vorticoso, quindi, i primi a farne le spese sono proprio i personaggi, abbozzati se non addirittura inesistenti; in questo modo non solo si dà per scontato che lo spettatore medio li conosca già a menadito, ma si esclude inevitabilmente il neofita dal piacere della visione, perso nei meandri di una vicenda affrettata e confusa nella quale appare impossibile riuscire ad orientarsi. Un’occasione parzialmente sprecata, e certamente molto meno coraggiosa rispetto a Capitan Harlock 3D di Shinji Aramaki, che non era solamente un prodotto più compiuto dal punto di vista narrativo, ma anche e soprattutto il tentativo (riuscito) di rifondazione di un immaginario – con tutte le influenze e le contaminazioni del caso.

 

Titolo originale: Legend of Sanctuary

Regia: Keiichi Sato

Distribuzione: Key Films

Durata: 95'

Origine: Giappone, 2014

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