Exodus – Dei e Re, di Ridley Scott

exodus 
Mosè e Ramses si aggirano in un'epoca che ancora una volta vive solo nell'universo di Ridley Scott, un tempo che è insieme Blade Runner e LegendPrometheus e Robin Hood, il macroset ritornante del continuum visivo e ciclico del regista, via Il Gladiatore Le crociateL'iperbole tra realizzazione, percezione e consumo va in escandescenza assoluta e velocissima

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La capacità combinatoria del cinema di Ridley Scott si rivela sempre particolarmente evidente e irresistibile in operazioni come questa di Exodus (Scott ha compiuto 77 anni da un mesetto ed è ancora al timone di progetti similmente mastodontici, forse l'unico della sua generazione…).
Il film si inscrive con ogni evidenza in un percorso che rievoca, giusto per restare all'ultimo ventennio di fatiche del cineasta, filiazioni da Il Gladiatore, Le crociate, Robin Hood, e la costruzione stessa delle sequenze di massa e delle coreografie di lotta risulta subito appartenere a questo filone di kolossal fantastici a sfondo storico tenuto a battesimo dall'autore, i cui semi sono riscontrabili in realtà in tutta la sua produzione.

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E però questa volta Scott ha a che fare con il racconto biblico, ovvero la madre di tutti i director's cut, di tutte le storie dalle mille versioni apocrife, dai finali alternativi, dai montaggi estesi: ai versetti dell'Esodo, opportunamente fatti rieditare dal fido Steven Zaillian, Scott risponde come suo solito con gli strati dell'immagine, i fasci di ombre e luce, i tagli di montaggio, lo sguardo puntualmente satellitare su paesaggi lunari (i campi di lavoro del popolo israelita).
Mosè e Ramses si aggirano così in un'epoca che ancora una volta vive solo nell'universo di Ridley Scott, un tempo che è insieme Blade Runner e Legend, Prometheus e Nessuna verità (vogliamo per un attimo credere all'urgenza politica di questo film?), il macroset ritornante del continuum visivo e ciclico del regista, qui puntellato da sornioni riferimenti ai Dieci Comandamenti di De Mille (Edgerton truccato a imitazione di Yul Brinner, l'arbusto infuocato nella visione di Mosè, l'ombra dell'Angelo che plana sulle case per ammazzare i primogeniti…), giusto per avere un paio di riferimenti riconoscibili a cui aggrapparsi, che com'è ovvio Scott s'è andato a cercare in precedenti cinematografici (c'è vita oltre allo schermo, oltre all'autoremake concettuale infinito?).

Christian Bale finisce in questo modo a fare la stessa figura di Fassbender nel sublime The counselor, ovvero dell'unico del cast ad essersi seriamente preoccupato di donare uno spessore al proprio personaggio, con il medesimo risultato del primo della classe sbeffeggiato perché entrava a scuola anche quando tutti i compagni aderivano alla manifestazione di turno per saltare le lezioni.
Più scaltro si dimostra Joel Edgerton che gonfia la propria iraconda interpretazione a dovere, ed è magnifico quando allarga le braccia davanti alle onde del Mar Rosso che vanno richiudendosi, disposto a finire travolto dalle acque pur di non retrocedere per primo e perdere così la sfida con l'odiato fratellastro Mosè: anche all'interno di questa sequenza portentosa da disaster movie oceanico, puntuale vetta del film, Scott non riesce a rinunciare a porre i suoi contendenti uno di fronte all'altro, a duello.

C'è anche stavolta qualcosa di sottilmente eversivo e apertamente guascone, una sorta di ridanciano sabotaggio dell'apparato che conferma in Scott uno dei cineasti più ingenui e meravigliosamente immaturi di Hollywood. 

Come andare a sentire dal vivo i PIL di Johnny Rotten o i Buzzcocks oggi (il primo film di RIdley è del 1977…), Scott giunto a questa fase della propria carriera (s)maschera costantemente un'attitudine punk, gioiosamente truffaldina e fieramente iconoclasta, magari inaspettata e impensabile per chi faceva caso ai pesanti synth di Vangelis ai vecchi tempi.
Exodus potrebbe anzi da questo punto di vista rappresentare l'opera dello svelamento definitivo, con quel Dio bambino umorale e vendicativo, distruttore e dispettoso, emblema tra i più azzardati e clamorosi di tutta una concezione pastiche di cinema.

Basta guardare l'atteggiamento con cui Scott imbastisce le sequenze delle dieci piaghe d'Egitto: si tratta di altrettante scene madri, impressionanti e produttivamente impegnative dal punto di vista dello sfoggio di effetti speciali e dell'impalcatura visiva, ognuna di esse farebbe la fortuna di un blockbuster a testa.
Ma Scott le infila una dietro l'altra senza pausa, in un lungo blocco unico, impiccando anche il consigliere del Faraone che ne ipotizza una spiegazione “razionale”: nessuno vieta poi che in un universo parallelo si possa rimontare il film sparpagliando queste sequenze kolossal, o eliminandone qualcuna, sostituendone un'altra, come lo sparo in camera di Great Train Robbery, o i patchwork del porno.
L'iperbole tra realizzazione, percezione e consumo va in escandescenza assoluta e velocissima anche senza bisogno di un 3D puramente accessorio, come i tre accordi dei Ramones prodotti però da Phil Spector (Scott autore da end of the century? quale century?).
Questo inammissibile rifiuto dell'autorialità conferma davvero in Ridley Scott l'Autore più totale dei nostri tempi, un creatore che non ha ancora fatto testamento.

Titolo originale: Exodus – Gods and Kings
Regia: Ridley Scott
Interpreti: Christian Bale, Joel Edgerton, Sigourney Weaver, Ben Kingsley, John Turturro, Aaron Paul, María Valverde, Indira Varma, Emun Elliott, Ben Mendelsohn, Golshifteh Farahani, Hiam Abbass, Ghassan Massoud, Kevork Malikyan
Origine: UK, USA, 2015
Distribuzione: Fox
Durata:  154'

 

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