Banana, di Andrea Jublin


Andrea Jublin inscatola il calcio e l’amore e il dolore in un piccolo film che è, soltanto, un piccolo film. Ma svelando tutto quello che c’è dietro, andando dritto verso quello che vede alla fine del sentiero. Banana ha rotto a tutti tranne che a noi, non poteva, piccolo, ciccione e sfigato come è, stradaiolo come è, brasiliano come è

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Banana hai rotto il cazzo” sentenziano. Si, hai rotto il cazzo, ai compagni di scuola, ai professori, ai genitori, alla sorella, all’ex di lei. Hai rotto il cazzo con questa storia della felicità, con questa ricerca del bello e del giusto – che a volte non sono la stessa cosa, e a volte lo sono – in ogni incontro, sguardo. Hai rotto il cazzo a tutti ma non a noi. Come potresti, piccolo, ciccione e sfigato come sei? Come potresti rompere il cazzo a noi che tra la mancanza di cinema e la presenza di calcio abbiamo scelto il secondo, pensando, scrivendo e leggendo di pallone per un mese intero, per un mondiale intero, il tuo? E come potresti, alla fine, rompere il cazzo a chi ha sognato il sogno mostruosamente proibito di Garcia Ignazio Barroso detto “U Carcamagnu”, a chi con indosso un’insostituibile maglia blu ripeteva la filastrocca che è un mantra che ti fa viaggiare indietro fino ad un'epoca e ad un calcio non tuoi – Didi, Vavá, Pelé, Zagalo.

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Di Banana (personaggio) e Banana (film) rimane questo: la piccola, intima follia che a volte, nei momenti più sbagliati – che a volte sono quelli più giusti e volte no –, si impadronisce di entrambi e li porta a fare cose che non possono tornare, con Banana che dribbla mezza squadra partendo dalla propria porta e sbaglia il tiro decisivo, con Emma che lascia il fratello e la famiglia e l’ex e tutto quello che è per un ragazzo che non ama. Banana e Banana sono così, pieni di errori, sono la paura del portiere prima del calcio di rigore. Gli altri hanno rotto il cazzo, non loro, gli amici inesistenti, il tempo che passa e sembra non passare mai, gli amori traditi e quelli mai raggiunti.

 

Sono dei periferici Peanuts Banana e Banana, perché sotto sotto se ne fregano dei ragazzi troppo piccoli e troppo vuoti per capire e sentire e guardano con risate e rabbia ad un mondo che non dovrebbe appartenergli, quello degli adulti. C’è un limbo, c’è un’inversione di generazioni, c’è un male nell’aria che respirano ragazzi e adulti, ma solo alcuni ragazzi, alcuni adulti, quelli capaci di sentire che c’è qualcosa, qualunque cosa, oltre a quello che, semplicemente, già c’è. Quindi si tormentano, e lo fanno brandendo e maledicendo ciò che solo significa, il tempo. E così la madre di Banana pensa alla strana moto che aveva il marito e a quando lei non aveva le mutande, e Gianni mostra ad Emma una lettera per un amore che sperava sbocciasse e si rinnovasse di anno in anno, di età in età. Altri ancora ci arrivano a spasmi, a salti, a sentire lo scorrere di quel tempo che uccide e ucciderà sempre i suoi figli, Jessica che sa che l’amore di Banana non la salverà da una vita arida, il padre di Banana che per un attimo guarda per la prima volta la foto della sua strana moto e poi distoglie lo sguardo per tornare solo a vedere. Ma lo sappiamo, solo alcuni sono brasiliani, e poi loro non sono riusciti nemmeno a vincere in casa…

 

Andrea Jublin inscatola tutto questo in un piccolo film che è, soltanto, un piccolo film. Fatto di cose minute, passeggere, maneggevoli. Ma Jublin lo fa in un modo che svela tutto quello che c’è dietro, che va dritto verso quello che vede alla fine del sentiero. C’è una Roma stradaiola che da Centocelle scende al Quadraro, c’è un coro di interpreti che puntella di dolore e passato mai visto questo mondo (Camilla Filippi, Anna Bonaiuto, Giselda Volodi, Gianfelice Imparato, Giorgio Colangeli), ci sono scelte dirette, chiare, semplici – non tutto finisce bene, e questo è già, davvero, tanto. E poi c’è Jublin stesso nella parte di Gianni, in quella che sembra l’altra vita del supplente che gli fece avere una nomination all’Oscar per il miglior cortometraggio. E ci sono ancora quelle parole pronunciate a metà di quei piccoli, soltanto piccoli, quindici minuti: “Scusate ragazzi. La nostalgia. E’ che io sto sempre solo con gli adulti, e li vedo così delusi, così spaventati, così lontani dal loro posto e pensano così male della loro vita. E anche io, e non è colpa di nessuno. E io come faccio a crescere? Come faccio ad esser meglio di così? E perché quando alzo la testa e ho un pensiero che mi piace, intero, perché può esser solo un pensiero da ragazzino?”.

 

Regia di: Andrea Jublin

Interpreti: Marco Todisco, Beatrice Modica, Camilla Filippi, Anna Bonaiuto, Giselda Volodi, Gianfelice Imparato, Giorgio Colangeli, Andrea Jublin

Origine: Italia, 2014

Distribuzione: Good Films

Durata: '83

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