Unbroken, di Angelina Jolie

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La Jolie ci prova. Crede nella bella estetica e grazie all’occhio esperto di Roger Deakins colleziona il suo kolossal sulla resistenza alla guerra e alla prigionia. Ma pensa (troppo?) in grande e non fa il capolavoro che serviva alla via crucis del suo protagonista

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Louis Zamperini fu un patriota americano nel vero senso della parola. Figlio di immigrati italiani che non parlavano una parola di inglese, è cresciuto nell’iniziale pregiudizio dei suoi coetanei, per poi diventare atleta olimpionico a Berlino nel 1936 e poi bombardiere nel Pacifico durante la Seconda Guerra mondiale. Qui durante una missione aerea venne abbattuto e fatto prigioniero dai giapponesi per due lunghi anni. Tornato in patria venne accolto come una celebrità, si sposò e diventò portavoce della cristianità. All’età di 80 anni assolse a un ultimo sogno: partecipare come portabandiera alle olimpiadi invernali di Tokyo del 1998. La sua è una parabola di fede e coraggio che da anni Hollywood aveva in cantiere di realizzare. Ci ha provato Angelina Jolie che ha preso la biografia di Zamperini, raccontata in un paio di libri, e tradotto in immagini una sceneggiatura scritta a più mani da William Nicholson, Richard LaGravenese, Joel ed Ethan Coen. Il risultato è un biopic ambizioso e spettacolare con l’esperienza della guerra in primo piano e una calda raffigurazione italoamericana della famiglia Zamperini nei flashback che raccontano il passato di Louie. Unbroken è l’esemplare storia di un figlio d’America, sebbene le intenzioni della Jolie siano soprattutto quelle di dare una dimensione privata a questo affresco ed elaborare un racconto sulla forza dell’individuo, sulla resistenza fisica e spirituale di fronte agli orrori della guerra.

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Forse troppa ambizione per l’attrice, qui alla sua seconda prova da regista, che pensa in grande e apre il suo film con una bella battaglia nei cieli quasi tutta virata in soggettiva attraverso gli occhi di Louis, negli spazi angusti e claustrofobici dell’abitacolo di un aereo. In realtà il war movie cede presto il testimone al genere disaster con la lunga scena del naufragio in mare e le condizioni climatiche avverse e la mancanza di cibo che sembrano provenire direttamente da una costola di Vita di Pi di Ang Lee. Poi una volta passati al campo di prigionia ecco che il film si sposta in un territorio caro a David Lean (Il ponte sul fiume Kwai) o anche allo Spielberg de L’impero del sole. Sono modelli che schiacciano Unbroken, che comunque ha il pudore di non cadere in facili citazionismi. Il problema è che di fronte alla grandezza dell’operazione il film sembra quasi non riuscire a trovare una sua chiave. Certo la Jolie crede nella bella immagine e qui ad aiutarla interviene tutto il mestiere del suo direttore della fotografia Roger Deakins che di fatto le costruisce il film lavorando su fondali digitali inconsueti per lui e donando cromatismi quasi pittorici alla via crucis del protagonista. Eppure paradossalmente in Unbroken manca proprio la fisicità. Forse preoccupata di confezionare un prodotto tecnicamente ineccepibile, la Jolie rimane a distanza, mantiene il controllo dell’operazione ma perde di vista la carne e lo spirito. Lavora per accumulazione di prove e sofferenze, senza giungere mai una vera e propria anima. Allestisce il set senza penetrarlo. Descrive un personaggio senza viverlo. E lo abbandona in una zona confusa tra il superuomo, il patriota e il superstite illuminato.

Titolo originale: Id.
Regia: Angelina Jolie
Interpreti: Jack O’Connell, Domhnall Gleeson, Garrett Hedlund, Jai Courtney, Miyavi
Origine: USA, 2014
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 130'

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