Philadelphia, di Jonathan Demme

tom hanks e denzel washington in philadelphia

Cinque anni di gestazione e Voglia di tenerezza come riferimento. In realtà, apparentemente sembra essere un’operazione ai limiti dell’ossessione nella messinscena, ed è proprio questa condizione destabilizzante a rendere la pellicola assolutamente imprescindibile nella filmografia dell'autore statunitense. Opera modernista, perché nasce da un senso di sradicamento nei confronti di un mondo mutato dalla modernità. Venerdì 6 febbraio, ore 21.10, La7

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Questa è l’essenza della discriminazione: il formulare opinioni sugli altri non basate sui loro meriti individuali, quanto alla loro appartenenza ad un gruppo con presunte caratteristiche. Due anni dopo Il silenzio degli innocenti, vincitore di due premi Oscar (per la canzone di Bruce Springsteen “Street of Philadelphia” e per l’interpretazione di Tom Hanks): “aver fede significa credere in qualcosa che non siamo in grado di provare”. Ispirato ad un evento di cronaca realmente accaduto e girato nei luoghi effettivi in cui si sono verificati i fatti, aids, omosessualità, discriminazione razziale, nel rosso autunnale della città. “E’ più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”, sembra essere questo il presupposto meravigliosamente scientifico che accompagna tutto il film. Più che Bruce Springsteen, verrebbe da rievocare Neil Young e la sua “Philadelphia”, proprio sul finale, quando il protagonista, Andrew Beckett, si rivede bambino in un filmato familiare: “A volte penso di sapere tutto su che cos’è l’amore e quando vedo la luce so che starò bene”. Cinema meravigliosamente “processuale”, che coniuga perfettamente il cinema d’autore e di genere, senza mai segnare il passo. E poi, le lacrime certo non si possono trattenere, nonostante sembrerebbero vietate agli adulti, ai cinefili e ai critici.

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denzel washington e tom hanks in philadelphiaMa Jonathan Demme è imprevedibile, lo è sempre stato, gira film diversi, l’uno dall’altro, senza mai perdere la voglia di mescolare sofisticati omaggi a Hitchcock con elementi grotteschi quando non proprio kitsch, passando ancora dalla Factory degli anni ’70. Cinque anni di gestazione e Voglia di tenerezza come punto di riferimento. In realtà, se apparentemente sembra essere un’operazione ai limiti dell’ossessione nella messinscena, per la cura maniacale dei dettagli, tutto invece sembra virare verso altre direzioni. Ed è proprio questa condizione destabilizzante a rendere la pellicola assolutamente imprescindibile nella filmografia del grande autore statunitense. Philadelphia è un’opera modernista, perché nasce da un senso di sradicamento nei confronti di un mondo mutato dalla modernità. Jonathan Demme afferma l’importanza del come vedere o percepire le cose, piuttosto che del cosa viene percepito e la realtà viene ricostruita attraverso un susseguirsi di impressioni soggettive: gli attimi della quotidianità, il contingente, il casuale emergono in primo piano e, pur palesando il disagio, lo smarrimento e la frammentazione del mondo moderno, sono d’altro canto segni della vitalità profonda dell’esistenza. Si potrebbe ancora discutere di una faccenda inusuale: dell’estetica evoluzionistica del cinema del regista. In questa implosione cromatica e in questa ennesimo pedinamento in loop, la bellezza di tale cinema potrebbe essere essenzialmente la traccia fenomenica della soluzione a un problema di coordinazione. L’esperienza ordinaria viene trasfigurata in qualcosa di straordinario. E non è proprio questo che Demme fa da sempre?

 

tom hanks in philadelphiaIn fondo trattasi ancora una volta, e per sempre, di Panta rei senza tregua, che accumula e non disperde, una costruzione che unisce libertà e rigore. Ancora sovrapposizione delle melodie e delle immagini “home video”, come linee divergenti o parallele. Cinema melodico che ogni strumento persegue e che crea, nel confronto, nello scontro, nella somma, le armonie e le ritmiche perfette. Magica intenzione di costruire, in modo ardito, una visione musicale, allo stesso tempo, libera e ben indirizzata e di voler contenere quanti più stimoli possibili. Somma e confronto tra linee melodiche e geometrie di sguardi che ritrovi nella improvvisazione pura. L’equilibrio è retto dal disegno scenografico che va oltre i confini canonici della visione, spingendosi ad altezze estreme, in una dimensione patafisica del sentire, ancor prima di vedere.

 

Titolo originale: id.
Regia: Jonathan Demme
Interpreti: Tom Hanks, Denzel Washington, Jason Robards, Antonio Banderas, Joanne Woodward, Mary Steenburgen, Roberta Maxwell, Buzz Kilman, Charles Napier, Jane Moore, Adam LeFevre, John Bedford Lloyd, Ann Dowd, Paul Lazar
Durata: 125 min

Origine: USA, 1993

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