Un’immensa distesa di nomi cancellati e di macerie, dove gli specchi che sono superfici spezzate nelle quali si può riflettere solo l’immagine scissa di chi non ha più un volto nel quale riconoscersi. La Germania sconfitta, appena uscita dalla guerra, di Christian Petzold è un corpo perduto, come quello di Nelly, è una replica mistificata di se stessa, un riflesso dove il ritorno è un falso movimento e il tempo, come dice Lene nella sua lettera di commiato a Nelly, un’idea di futuro impossibile, perché del passato non resta che la nostalgia di una fotografia che è diventata nient’altro che una mappatura di morte e tradimento. E allora un abbraccio sulla banchina di una stazione non è più il luogo nel quale ci si ritrova, ma solo la geografia di una perdita, dove alla vicinanza si è sostituto tutto il peso del vuoto di una messa in scena nostalgica, che si continua a recitare per non essere inghiotti nel nulla e in esso scomparire.

Con un volto cancellato, metafora volutamente letterale che rimanda al metodico processo di privazione dell’identità e dell’umanità operata nei campi di concentramento, e una nuova fisionomia che, come le dice il chirurgo che l’ha operata, può solo essere la replica di un qualcosa che è andato per sempre perduto, la Nelly/Esther di Phoenix è una presenza fantasmatica, che sa poter esistere ancora solo attraverso il occhi del marito che l’ha tradita. E’ questa la falsa trama alla quale Nelly continua ad aggrapparsi con tutte le forze nel gioco di mascheramento e svelamento che inscena con Johnny. Ma l’idea di ricominciare, come fosse la prima volta, non è altro che una menzogna e solo una menzogna sono anche le immagini di quella storia d’amore che le hanno permesso di resistere alla morte. E' troppo tardi per parlare d’amore, l’amore è solo una scintilla che si è persa nel buio della Storia.

In un melodramma da camera dalle atmosfere noir e dai colori d’ispirazione fassbinderiana, debitore delle suggestioni hitchcockiane nella sua discesa nei territori della dislocazione dell’identità, Christian Petzold, con Nina Hoss di nuovo al suo fianco, dopo Jerichow e Barbara, dissemina la storia di Nelly di immagini speculari, dove la realtà e il suo doppio si confondono fino a diventare un unico corpo, un corpo senza più vera sostanza, che ad ogni passo racconta la sua scomparsa, quasi fosse fatto della stessa materia dei buio che si nasconde dietro le strade attraversate di notte da Nelly. E dunque, il processo di ricostruzione che, nascosta al resto del mondo, Esther permette a Johnny di operare su se stessa, per ritornare ad essere di nuovo Nelly, non è che il doloroso processo di svelamento di una donna che non esiste più.
Non rimangono allora che le parole di Kurt Weill per cantare, una volta ancora, l’ultima, il desiderio d’amore di cui non è rimasto altro che il simulacro.