Io sono Mateusz, di Maciej Pieprzyca


Emerge dal film un dramma dotato di sensibilità che riflette su temi importanti quali la dignità e la solitudine, l’amore e la sessualità, l’imprevedibilità della vita e il desiderio di morte, portando un messaggio di speranza che oltrepassa ostacoli fisici e barriere mentali

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La disabilità al cinema è un tema insidioso, non solo perché si rischia di dare una rappresentazione fuorviante della realtà, con effetti più o meno edulcorati, ma soprattutto perché è facile abusare del linguaggio cinematografico per orientare emotivamente lo sguardo dello spettatore. Il regista polacco Pieprzyca, qui al suo secondo lungometraggio, non cade in simili errori, anzi prende subito le distanze lasciando che siano le immagini a parlare.

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Mateusz è un ragazzo affetto da paralisi cerebrale. Sin dall’inizio i medici concordano nell’affermare che sia un vegetale incapace di comprendere. I suoi genitori però non sono della stessa idea e crescono il figlio con gioia e amore. Dopo molti tentativi, qualcun altro si accorgerà che Mateusz è in grado di capire e gli darà finalmente la possibilità di tradurre in parole i suoi silenzi ed esprimere sé stesso.

Basato su una storia vera, il film ha il sapore della cronaca scandita in tappe, che ripercorrono dagli anni ’80 a oggi la vita del protagonista: l’infanzia felice con la madre e con il padre; i pomeriggi seduto alla finestra, unico spiraglio sul mondo, e le serate trascorse a fissare le stelle; il primo contatto con una ragazza; il trasferimento in clinica; la lotta strenua e dolorosa per affermare la propria identità di essere umano.
Attraverso pochi e bilanciati espedienti, la voce fuori campo, le soggettive e le inquadrature dal basso, che riprendono la prospettiva di Mateusz che si sposta strisciando sulla schiena, possiamo ascoltare i suoi pensieri e partecipare alle sue azioni senza esserne mai totalmente travolti. Pieprzyca non cerca infatti di infondere poeticità alla storia (pensiamo alle invenzioni visive de Lo scafandro e la farfalla, suggestivo sin dal titolo), né la inserisce nei canoni più tradizionali della fiction (Il mio piede sinistro). Crea piuttosto un ibrido a metà tra la finzione e il documentario, scegliendo di girare in luoghi reali (ad esempio l’ospedale) e affiancando attori a non professionisti. David Ogrodnik (che abbiamo visto di recente in Ida), grazie a una mimica facciale molto espressiva e a una gestualità deformante, restituisce complessità al personaggio alternando momenti di frustrazione e sofferenza a sprazzi di ottimismo e divertimento.

Ne emerge un dramma dotato di sensibilità che riflette su temi importanti quali la dignità e la solitudine, l’amore e la sessualità, l’imprevedibilità della vita e il desiderio di morte, portando un messaggio di speranza che oltrepassa ostacoli fisici e barriere mentali.


Titolo originale: Chce si? ?y?
Regia: Maciej Pieprzyca
Interpreti: Dawid Ogrodnik, Kamil Tkacz, Akradiusz Jakubik, Katarzyna Zawadzka, Anna Nehrebecka, Dorota Kolak
Origine: Polonia, 2013
Distribuzione: Draka
Durata: 112’

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