Samba, di Eric Toledano e Olivier Nakache

Dopo i fasti internazionali di Quasi amici il duo Toledano-Nakache parla di immigrazione clandestina nella Francia di oggi. Confezionano un prodotto di intrattenimento con un tema forte, a conferma di un approccio che se non è proprio autoriale ambisce al cinema “serio” e forse così perdono qualcosa

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Sono passati tre anni dal successo internazionale di Quasi amici ed Eric Toledano e Olivier Nakache tornano con discreta ambizione, un trio d’attori interessante e meno voglia di far divertire il pubblico. Sì perché questo Samba – tratto da un romanzo di Delphine Coulin – davvero si pone come atto di denuncia sull’immigrazione clandestina in terra francese strizzando l’occhio anche alla commedia certo, ma dando molto spazio al dramma di personaggi in cerca di lavoro e regolarizzazione. Samba (Omar Sy) è uno di questi. Dopo 10 anni trascorsi lavorando puntualmente nelle cucine di un lussuoso albergo parigino, viene scoperto dalla polizia e costretto a vivere come un fantasma, accettando lavori in nero e pronto a tutto pur di non tornare in Senegal con l’onore ferito. Durante la sua permanenza in un campo per clandestini incontra Alice (Charlotte Gainsbourg), un ex dirigente che ha avuto un esaurimento nervoso e che ora lavora per una associazione. Tra i due scatta un colpo di fulmine che non si tramuta subito in amore. Prima hanno bisogno di fingersi amici, sondare l’intesa, conoscersi, tentarle tutte per evitare l’inevitabile legame romantico che chiude il film. La storia d’amore tra i due sembra quasi un rispecchiamento di quella tra Samba e la Francia: sincera ma spaventata, diffidente, a lunga gittata. Una specie di metafora? Forse. Del resto il film non tarda a tracciare l’excursus sfiancante di Samba tra uffici di collocamento, cantieri e periferie, come fosse una parabola che può essere deviata non con la legalità ma solo attraverso la menzogna e il crimine, sporcandosi le mani tra i poveri “fratelli” magari rubando identità e permesso di soggiorno a un altro clandestino.

Insomma il duo Toledano-Nakache confezionano un prodotto di intrattenimento con un tema forte, a conferma di un approccio che se non è proprio autoriale ambisce al cinema “serio” e probabilmente così perdono qualcosa
. La stessa Gainsbourg sembra provenire da un altro cinema, concettualizzato, nevrotico, vagamete dark. Di fatto in Samba ci sono tanti film diversi: c’è il film di denuncia, c’è la vicenda sentimentale e c’è anche la sezione comica. Qui è il finto brasiliano Wilson di Tahar Rahim a far esplodere il film con gag, atteggiamento guascone e vitellonate impossibili. È la parte più assurda e musicale. Forse anche la più “brutta”, ma dona un senso di libertà che altrove il film sembra dispedere. E’ la detonazione che porta Samba e Alice a mettersi insieme. Il quasi amico che rianima il film per rompere gli schemi “impegnati” di un’operazione non riuscitissima, ma più difficile e complicata della precedente.

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