LIBRI DI CINEMA – “Béla Tarr. Il tempo del ritorno”, di Jacques Ranciere

Tradotto da Ilaria Floreano per Bietti Heterotopia, il saggio del filosofo francese Jacques Ranciere mette in risalto le tematiche fondamentali del cinema del maestro Béla Tarr, sottolineando le istanze politico-sociali e la modifica dello stile tra la prima e la seconda parte della sua filmografia. Il libro è completato dalle lucide schede critiche di Alessandro Baratti che ripercorrono con competenza più di trent’anni di cinema, da Nido Familiare fino a Il Cavallo di Torino.

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Béla Tarr. Il tempo del ritorno

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Jacques Ranciere

Bietti Heterotopia

pp 100, 14 euro

 

Da quando nel 2011 Béla Tarr ha annunciato il suo ritiro dalle scene con l’ultimo apocalittico film Il Cavallo di Torino, la sua figura ha iniziato ad essere avvolta da un’ aura mitologica e la letteratura critica sul suo conto ha cominciato a proliferare. Jacques Ranciere è tra i massimi esponenti della filosofia francese contemporanea e nel 2012 ha pubblicato questo mini-saggio sul cineasta ungherese che l’editore Bietti Heterotopia ha meritoriamente deciso di fare tradurre ad Ilaria Floreano con l’arricchimento delle schede critiche di Alessandro Baratti.

 

Ranciere affronta l’analisi prima di tutto dal punto di vista storico-politico con un “excursus” che va dalla Ungheria socialista di fine anni 70 (con tutte le sue storture: conservatorismo, egoismo, maschilismo, rigetto del diverso) fino ai giorni nostri, attraverso il crollo del grande blocco sovietico, la caduta del muro e l’illusione di un possibile benessere capitalistico. Le grandi speranze per un futuro di prosperità economica e di equità sociale svaniscono di fronte alla censura del Mercato che sostituisce quella di Stato. Tutto il cinema di Béla Tarr si edifica sulle macerie di un sogno abortito, una lucida consapevolezza di fronte all’avidità e aridità del genere umano che continua a commettere gli stessi errori, nel circolo vizioso dei corsi e ricorsi storici. La maggior parte dei critici distingue due periodi nella filmografia Tarriana, quello che va da Nido Familiare (1979) ad Almanacco d’Autunno (1984) caratterizzato da forti tematiche sociali (con frequente uso della macchina a mano pedinante e del primo piano) e quello che va da Perdizione (1987) a Il Cavallo di Torino (2011) in cui il piano sequenza diventa emblema di un ambiente che sembra lentamente fagocitare i personaggi in un’atmosfera irreale dove spazio e tempo sembrano congelati. In realtà è lo stesso regista ungherese a fugare ogni dubbio: non esiste una stagione delle pellicole sociali e una stagione delle pellicole metafisiche, esiste sempre lo stesso film, solo che l’occhio del cineasta sembra scavare sempre più a fondo, in una profondità di campo che paradossalmente fa risaltare il vuoto all’interno e all’esterno del singolo individuo. Questo passaggio dal particolare all’universale, dal microambiente domestico al macrocosmo naturale è accompagnato dal dissolvimento di ogni trama o spiegazione finalistica.

Per Flaubert uno stile non è l’ornamento di un discorso, ma un modo preciso di vedere le cose, un modo assoluto. Per Béla Tarr si tratta di scegliere tra due modi di vedere: quello relativo, che assolda il visibile al servizio della concatenazione di eventi; e quello assoluto, che dona al visibile il tempo di produrre da sé un effetto. E la scelta cade inevitabilmente sul secondo. Così il ricorso alla pioggia, alla nebbia, alle alcoliche scene di ballo non sono che pezzi di un puzzle in cui vengono assemblate una serie di immagini tempo, in cui ogni momento è un segmento autonomo, eterno ritorno, ripetizione dell’istante.

 

Alessandro Baratti nella seconda parte del libro propone le schede critiche di tutti i film di Béla Tarr sottolineando principi e tematiche, l’utilizzo sapiente della musica e la ricchezza del tappeto sonoro, le importanti collaborazioni con altri artisti come il compositore Mihali Vig e lo scrittore Lazlo Krasznahorkai.

Béla Tarr sembra volere comunicare un dato di fatto: tutti i nostri piccoli gesti, tutte le nostre azioni rituali, le ripetizioni, le parole, l’importanza che releghiamo agli oggetti, gli elementi naturali (il vento, l’acqua, la luce, le foglie), le pagine dei libri, le preghiere, con l’approssimarsi della fine svuotano di consistenza l’immagine. Come se la mancanza di uno scopo facesse emergere il divario tra la realtà e il tentativo di rappresentarla. E’ il tempo a creare questo processo di deterioramento scopico: tutto diventa sfocato, nebbioso, indistinto, polveroso, corroso, desolante, irrimediabile, irreversibile. Béla Tarr gioca molto sul sonoro creando un effetto eco sorprendente, misterioso e nello stesso tempo destabilizzante: sentiamo un vento incessante attraversare i corpi e privarli di vita. In questo quadro malinconico il pessimismo di Tarr è tipicamente nietzschiano: è diretto all’inutilità del mondo moderno, non al mondo o all’esistenza in sé. Dice Ranciere: “Il tempo del dopo non è il tempo uniforme e tetro di chi non crede più a nulla. È il tempo degli eventi materiali puri, in base ai quali si misura la fiducia fintanto che l’esistenza la supporta.” A conferma di ciò nell’epilogo de Il Cavallo di Torino, i due protagonisti accendono ancora una luce e parlano come se ci fosse un domani prima di sprofondare nel buio della non esistenza: è proprio quello che Lazlo Krasznahorkai chiamerebbe “Melancolia della Resistenza.

 

 

INDICE

  1. Il tempo del dopo 7
  2. Storie di famiglie 13
  3. L’impero della pioggia 21
  4. Imbroglioni, idioti e folli 29
  5. Il cerchio chiuso aperto 43

Appendice. I film di Béla Tarr a cura di Alessandro Baratti 55

Nido familiare (1979) 55

Hotel Magnezit (1980) 58

L’outsider (1981) 60

Macbeth (1982) 62

Rapporti prefabbricati (1982) 64

Almanacco d’autunno (1984) 67

Perdizione (1988) 69

Satantango (1994) 72

Viaggio nella pianura ungherese (1995) 75

Le armonie di Werckmeister (2000) 76

Prologo, in Visions of Europe (2004) 79

L’uomo di Londra (2007) 81

Il cavallo di Torino (2011) 83

Indice dei film 87

Indice dei nomi 89

Indice delle opere 93

 

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