HORROR & SF – Il risveglio del genere

Quella del 2014 è stata una stagione straordinaria per l’horror. Ma molti di questi titoli sono ancora tutti in attesa di una distribuzione italiana. La rubrica è a cura di La Cripta di Midian

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IT FOLLOWSQual è lo stato di salute generale dell’horror, oggi? Stando a quel che si sente dire in giro, a quello che si legge e a quello che si vede (nella sale italiane), la situazione sembrerebbe dare ragione a chi, più o meno consapevolmente, ne dichiara la morte cerebrale. Se l’oggetto dell’analisi si limitasse esclusivamente alla distribuzione nostrana, effettivamente, risulterebbe difficile confutare queste tesi, e i titoli parlano da soli: superata la sbornia dei remake dei classici (ormai si sta toccando il fondo, e rimane ben poco da rifare, cannibalizzare, stravolgere), spetta al mockumentary la discutibile palma di sottogenere più abusato. Eppure il concetto stesso di POV, tolta la componente più facile e scopertamente commerciale (quella à la Paranormal Activity, per intendersi), ha dimostrato di prestarsi bene a riletture e reinterpretazioni teoriche tutt’altro che banali; stimoli che però non hanno trovato un adeguato interesse presso i distributori italiani, interessati prevalentemente all’effetto immediato e all’appeal più disgraziatamente giovanilistico. Insomma, l’anno che si è da poco concluso non sembrerebbe aver apportato grandi novità all’interno del genere, e tra tutti i titoli usciti in sala solamente due (Oculus di Mike Flanagan e Cub – Piccole prede di Jonas Govaerts) si elevano all’interno di una media generale a dir poco deprimente. Film come Ouija, 1303 e La piramide attirano ancora l’interesse di una certa fetta di pubblico, ma allontanano sempre più lo spettatore da quello che è veramente l’horror che conta, oggi.

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Già, perché in verità quella del 2014 è stata una delle annate più sorprendenti e ricche da diverse stagioni a questa parte, ma per il momento in Italia se ne sono accorti in pochi. In attesa che alcuni dei titoli che andremo a citare trovino una distribuzione (per alcuni di essi ci sono già le date), ecco un rapido excursus su quanto di buono e sorprendente è stato pissibile vedere negli ultimi mesi, a cominciare dal piatto forte It Follows. L’opera seconda di David Robert Mitchell (dopo l’esordio di The Myth of the American Sleepover, coming of age anch’esso inedito da noi) si è rivelata essere indiscutibilmente la pellicola horror dell’anno. Presentato lo scorso anno a Cannes e a Torino, il film richiama un immaginario profondamente legato agli anni Ottanta per mettere in scena quello che, oggi,  si potrebbe definire l’unico horror possibile sul contagio virale: storia di un virus trasmesso attraverso i rapporti sessuali, It Follows moltiplica e frammenta lo sguardo per mettere in scena il desiderio (anzi, la necessità) di essere guardati, trasformandosi presto nella pietra tombale di un’intera generazione, quella cresciuta attraverso internet e i social network. Un grande film del quale si continuerà a parlare ancora a lungo, e che in Italia è stato acquistato da Movies Inspired. Ne riparleremo, quindi. Sempre a Torino è stato possibile vedere uno dei titoli più acclamati dell’ultimo anno, ovvero The Babadook di Jennifer Kent, tratto da un cortometraggio della stessa regista: classico esempio in cui l’orrore si fonde con il fiabesco (la creatura soprannaturale del titolo), per quello che è a tutti gli effetti un dramma famigliare chiuso entro quattro mura. Un film dalla sensibilità meravigliosamente femminile, in cui l’immaginario del sottogenere ghost story soccombe dinanzi al disagio del quotidiano e dei sentimenti, andando a tracciare le coordinate di un mondo in cui sembra sempre più difficile (per non dire impossibile) venire a patti con la morte e la perdita dei propri cari. Sempre restando sul podio del 2014, impossibile non citare il bellissimo At the Devil’s Door di Nicholas McCarthy: anche questo proveniente da Cannes (dove fu presentato con il titolo ancora provvisorio di Home), conferma tutto il talento del suo autore, già evidenziato dall’opera prima The Pact, inserendolo di diritto tra i nomi da tenere d’occhio per il futuro. Il film si colloca all’interno della tradizione esorcistico/demoniaca, lasciando che lo spettatore trovi da solo la propria strada nei meandri di un plot nel quale non si capisce mai quello sta realmente accadendo, né perché; il risultato è complesso e stratificato, e la rappresentazione del Male che ne emerge è di quelle colpiscono a fondo, perché saldamente radicato all’interno della società (e della famiglia).

 

Da Venezia avevamo già parlato di Burying the Ex: il ritorno di Joe Dante certamente non sposta gli equilibri del genere, ma rimane comunque un’efficacissima dimostrazione di come sia ancora possibile l’horror oggi, in barba a mode e tendenze. Curiosa, in ogni caso, la somiglianza estrema con Life After Beth di Jeff Baena, realizzato in contemporanea e dalla trama praticamente identica. Dalla Nuova Zelanda arriva invece What We Do in the Shadows, che si aggiudica indiscutibilmente il titolo di film più originale e divertente dell’anno: diretto da Taika Waititi e Jemaine Clement e prodotto attraverso una campagna di crowdfunding, racconta le vicissitudini quotidiane di una famiglia allargata di vampiri, davanti alle telecamere di una troupe televisiva. La tecnica del mockumentary è solamente un pretesto che viene ben presto superato, trasformando il film in una bellissima rivisitazione dei luoghi comuni nella quale ci si diverte e ci si commuove allo stesso tempo, all’insegna di una libertà stilistica e di scrittura che sembra un vero e proprio miracolo. Un film che ha tutte le carte in regola per diventare un cult e un nuovo termine di paragone per il futuro, e che non sfigurerebbe affatto all’interno della programmazione delle sale cinematografiche italiane. Sempre rimanendo in ambito mockumentary, Mockinbird di Bryan Bertino (disponibile in dvd Universal da maggio) invece è l’horror teorico dell’anno: un film nel quale l’occhio – la telecamera – è costretto a continuare a vedere (quindi filmare), senza che si riesca mai a vedere l’orrore in faccia. Per Bertino è quasi una rivisitazione astratta del suo precedente The Strangers, forse troppo esplicitamente scoperto nella sua natura a tesi – e quindi freddo, chirurgico – ma in grado di sollevare forti dubbi e inquietanti interrogativi. Per finire, un piccolo grande rammarico per la delusione più cocente del 2014:  Dark House, attesissimo ritorno all’horror per il bravo Victor Salva (Jeepers Creepers), conferma tutto il talento visivo del suo autore e la capacità di reinventare situazioni e luoghi, ma si perde dietro una narrazione inutilmente contorta fino al discutibile colpo di scena finale, lasciando seri dubbi sull’effettivo significato dell’operazione.

 

Ascolta i podcast di La Cripta di Midian.

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