#Cannes68 – Inside Out, di Pete Docter

Fuori Concorso, una visione esaltante, un’opera di una complessita’ vertiginosa, che traghetta la Pixar verso una stratificazione che lascia meravigliosamente a bocca aperta

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Inside Out riprende un discorso che la casa di John Lasseter va portando avanti oramai dal primo Toy Story, e che in quanto a lucidita’ conferma di avere davvero sparutissimi eguali nel panorama contemporaneo.
Il nuovo film di Pete Docter e’ una riflessione pazzesca di una complessita’ vertiginosa, e traghetta il livello delle produzioni Pixar verso una stratificazione che lascia meravigliosamente a bocca aperta.
Il film di Docter innesca dei cortocircuiti di un’ampiezza teorica che copre l’intera riflessione che il cinema agita sin dalle proprie origini, e allo stesso tempo affronta e disegna un immaginario di assoluta contemporaneita’, ancora una volta aggrappandosi all’immagine-chiave di tutti i capolavori Pixar, ovvero quella del deposito e della discarica.

La coerenza di questo gruppo di visionari e’ sintomo di un’autorialita’ che travalica da sempre i confini del prodotto di intrattenimento ludico, e allo stesso tempo rispecchia quello stesso procedimento di catena di montaggio artistica, magazzino di creativita’ industriale che poi innerva la struttura stessa delle singole opere.
In questo caso, Inside Out si spinge al di la’ di qualunque esperimento precedente, e tenta l’impossibile di raccontare l’immagine mentale nell’istante stesso in cui va formandosi, di mostrare i procedimenti percettivi attraverso i quali proviamo Gioia, Rabbia, Tristezza, Disgusto o Paura nei confronti di quello che vediamo con i nostri occhi.
I sentimenti diventano personaggi che interagiscono con i meccanismi della nostra memoria, visualizzata come montagna russa di riferimenti cinefili, letterari e finanche videoludici (la torre di comando come la gestione di un punta-e-clicca), racconto del dietro le quinte da luna park di un secondo film, quello con protagonista l’11enne Riley, che di fatto vediamo modificarsi e mutare direzione sotto il nostro sguardo di spettatori.

In questo modo Inside Out continua a raccontare di una esistenza umana che per la Pixar resta puntualmente sullo sfondo delle avventure dei propri personaggi, la cui quotidianita’ scorre in maniera esponenzialmente piu’ vorticosa tra le pieghe e gli angoli nascosti della vita terrestre, placida divinita’ da guardare da lontano come dietro l’acquario del pesciolino Nemo o, ancora, lo scatolone dei giocattoli di Buzz e Woody.
Gioia e Tristezza si perdono nelle pieghe del subconscio della piccola Riley: inizia un viaggio verso l’ignoto nella corsa contro il tempo per riguadagnare il controllo sul Quartier Generale che decide le reazioni della ragazza ai fatti della sua esistenza, prima che questa possa combinare un guaio troppo grosso.
Non si tratta davvero piu’ di antropocentrismo, o di antropomorfizzazione. Eppure anche il “film di Riley” basterebbe a fare di Inside Out una visione irrinunciabile, innervato com’e’ di una fragilita’ tenerissima, di istanti di commozione cristallina. It’s hard to live in the city per la piccola, che insieme ai genitori si e’ trasferita dalla vita all’aria aperta della provincia, ad un angusto appartamento a San Francisco. Le scoperte di una nuova routine rivelano anche il primo rendez vous di Riley con nostalgia e malinconia…

Mantenere le due narrazioni parallele, nella tradizione dei grandi classici del sottogenere innerspace, e’ una sfida titanica che Docter e i suoi risolvono con un film capace come al solito di divertire e far sgranare gli occhi per la purezza pirotecnica delle invenzioni cinetiche: nella stessa stagione in cui Mad Max – Fury Road di George Miller porta a compimento l’assoluta astrazione della narrazione via blockbuster in corso negli ultimi anni, trasformando in traiettoria abissalmente vuota e interattiva qualunque aspetto, porzione, elemento del set e annullandone cosi’ ogni possibile usura, danneggiamento, e morte, c’e’ da riflettere su come invece sia proprio questa animazione ad altissimo livello ad essersi presa l’incarico della complessita’, del multilivello, dell’autoriflessione.
Se il cinema che passa nelle sale porta ancora con se’ delle lacerazioni esaltanti, provengono precisamente da queste parti.

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