#Cannes68 – Amnesia, di Barbet Schroeder

Fuori Concorso il ritorno del regista dal 2008 di Inju a Venezia. Ancora un cinema delle contraddizioni, piccole scosse telluriche che fanno slittare la concezione sempre ambigua della verita’

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Mancava dai festival dal 2008 del bellissimo Inju a Venezia, Barbet Schroeder, e alla soglia dei 75 anni arrivato Fuori Concorso a Cannes non sembra assolutamente ancora essersi riconciliato con una forma di cinema piu’ rasserenata, meno squarciata da magnifiche contraddizioni, e da piccole scosse telluriche che fanno slittare la concezione sempre ambigua e sfocata della verita’, della ragione assoluta.
La sua filmografia funziona cosi’ da sempre, e soprattutto in quel pazzesco decennio 1990/2000 in cui Schroeder trova a Hollywood le vette della propria espressione, con titoli potentissimi come Il bacio della morte, Prima e Dopo, Soluzione Estrema, La vergine dei sicari.

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Qui la dissonanza e’ rivelata gia’ sui titoli di testa, con le immagini suadenti della costa di Ibiza al tramonto (le firma Luciano Tovoli) rese minacciose e stranianti da un pesante pezzo techno in colonna sonora: che cosa succede?
Apparentemente, poco, Schroeder torna a casa con una sorta di dramma da camera con produzione svizzera, pero’ tutto ambientato in queste ville dalle mura bianche sulle scogliere a strapiombo sull’oceano, che parte come il dimenticato e vertiginoso Tatarak di Wajda per poi giungere a fare i conti con memorie, incubi, omissioni e amnesie del popolo tedesco.
Slittamenti, appunto, e il film sottopelle piano piano fa montare la propria angoscia, fino alla resa dei conti tra Martha (Marthe Keller) e Bruno (Ganz) e sua figlia: due posizioni sull’orrore nazista che sembrano inconciliabili ma che piu’ volte Schroeder capovolgera’ fino a far vacillare le certezze nello schieramento dello spettatore – chi e’ veramente la vittima dell’amnesia, chi e’ che non ricorda, alla fine dei giochi?
Com’e’ chiaro, e’ in atto anche un duello puramente attoriale, che oppone alla contenuta recitazione d’istinto della Keller un lungo e articolato pezzo di bravura di Bruno Ganz in assolo da mattatore.

E dire che tutto era partito come l’ennesima storia disturbante e morbosetta di Schroeder, con questo innamoramento da parte del dj 25enne Jo (Max Riemelt) per la sua vicina di casa a Ibiza, Martha, una donna matura ma ancora affascinante, misteriosa e inafferrabile.
Siamo subito post-caduta del Muro, e infatti: gite in barca, cenette romantiche, la passione per la musica in comune, qualche mistero. Schroeder fa crescere una tensione da giallo in cui l’omicidio non arriva mai (gioca ad esempio con la banalita’ di gesti comuni e innocui che potrebbero rivelarsi invece improvvisamente violenti), lavora di non detto e minacce collaterali poi lasciate cadere (i nuovi affittuari della casa, il manager di Jo, strane visitazioni…).

II risultato e’ sicuramente irrisolto ma respira di istanti che funzionano nel loro stridore annunciato e ricercato, come un pezzo per violoncello su di una base dance.
In questo, il film ritrova la visione di una natura spigolosa e irreale (di nuovo, i tramonti dai colori accesissimi, gli scogli in agguato…) che lo riallaccia ai titoli della prima parte della carriera del regista (il set di Ibiza viene dritto da More), confermandolo sguardo di un’inquietudine giammai acquietata.

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