#Cannes68 – Une histoire de fou, di Robert Guėdiguian

Fuori Concorso, Guėdiguian rievoca la memoria del genocidio armeno, con una storia che parte nel 1921 a Berlino e arriva alla caduta dell’Unione Sovietica, nel segno della rivalsa e del perdono

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Don’t tell me the boy was mad, dice Guėdiguian nel sottotitolo internazionale del suo nuovo film: non venitemi a dire che il ragazzo era pazzo. Il ragazzo e’ Aram, vive a Marsiglia ma sente fortissima l’appartenenza alle sue origini in Armenia e l’ingiusto oblio in cui e’ caduto l’orrore del genocidio armeno, tanto da unirsi a quelli che le bombe contro i fascisti turchi hanno iniziato a metterle per davvero. Inizia facendo esplodere la macchina dell’ambasciatore della Turchia a Parigi, e finisce poi a combattere con l’Armata per la Liberazione Armena nel loro campo d’addestramento a Beirut.
Ma non si tratta di un pazzo, di un invasato, di un fanatico estremista: con il suo prologo in bianco e nero, nel quale vengono narrate le gesta dell’eroe della resistenza armena Soghomon Tehlirian, che nel 1921 a Berlino giustizia con un colpo alla testa uno dei mandanti della deportazione della sua gente, Talaat Pasha, il regista coglie il pretesto del processo che fece seguito all’attentato per rinfrescarci la memoria sulle nefandezze terribili dei turchi. Aram non sopporta che il padre abbia preferito tentare di costruirsi una vita tranquilla a Marsiglia con la moglie e i due figli, un’attivita’ avviata da speziale, e non senta ribollirsi il sangue per l’esodo della sua gente. E’ da qui che parte la rabbia che lo portera’ ad imbracciare le armi.

Quello di Guėdiguian, lo sappiamo, e’ uno sguardo morale, piu’ che alla questione politica e’ anche qui attento ai sentimenti (a Beirut, Aram conoscera’ pure l’amore, per la bellissima compagna Anahit, ma tra militanti sono vietate le relazioni…), ed e’ dunque, come nel recente Le nevi del Kilimanjaro, soprattutto una posizione da genitore, che benevola guarda dall’alto, giudice del rigore e della condotta eticamente corretta, e che insieme cerca sempre di perdonare.
Il fulcro di questa sua nuova storia familiare e’ Anouch, la madre di Aram, reale custode del dolore del popolo armeno, e la dignita’ con cui si spende senza sosta per far cambiare idea al figlio, e insieme mantenere una serenita’ dentro casa.
Per Guėdiguian c’e’ sempre una terza posizione da poter assumere, nel conflitto: in questo caso, si tratta di Gilles Tessier, coetaneo di Aram che finisce del tutto casualmente investito dall’esplosione dell’auto dell’ambasciatore a Parigi, restando a vita disabile e senza una gamba.
Il rapporto filiale che nasce inaspettatamente tra Anouch e Gilles e’ per Guėdiguian un esempio della via della riconciliazione e del dialogo.

Il film e’ sobrio e asciuttissimo come altre opere dell’autore, tiene la violenza e l’orrore sempre fuoricampo (non seguiamo mai Aram e la sua squadra negli attentati), lavora per ellissi e grandi simbologie (il finale con la sepoltura della nonna nell’Armenia post-URSS): quello che manca ad una confezione fin troppo attenta a mantenere la misura, e che spesso rischia quindi di non coinvolgere in maniera sanguigna e epidermica, viene compensato dalla statura dell’apologo, e dal respiro del racconto esemplare

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