#Cannes68 – O Ka, di Souleymane Cissé

Fuori concorso, il film del cineasta maliano che intreccia documentario e ricostruzione partendo da un episodio familiare. Ma sembra aver affievolito la sua poetica

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Tanto le scene iniziali sono brevi, intense, evocative, ognuna raccontando, anche in una sola inquadratura, un mondo, un’intimità espansa, una memoria personale e collettiva, di cinema, luoghi, corpi, parole, gesti, quanto il seguito, ovvero la maggior parte del film, è avviluppato in una ossessione talmente radicata, basata su un’esperienza giudiziaria che ha coinvolto la famiglia del regista, al punto da ripresentarsi, scena dopo scena, in un crescendo, comprensibile nella drammaticità vissuta in prima persona, che non trova però una forma compiuta, e neppure slabbrata, bensì una semplice, didascalica, violenta invettiva, non senza retorica.

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In O Ka (Notre maison) Souleymane Cissé mette in scena, intrecciando documentario e ricostruzione, quel che accadde nel 2008 alle sue sorelle, cacciate dalla loro abitazione dalla polizia in seguito a una diatriba con un’altra famiglia del quartiere di Bozola a Bamako sulla proprietà della casa. Ma l’incipit va ben oltre. Il dettaglio di una statua, una statua portata in processione lungo una strada, immagini di meravigliosa tenerezza dal set di Yeelen, nel 1986, animali e persone, bambini e anziani, fotografie di famiglia accarezzate da un bambino (ovvero, in una sola immagine, passato presente e futuro), alberi e una pioggia forte, costituiscono, al termine del film, per come esso è stato costruito, una sorta di testo autonomo abitato da uno sguardo possente. Cisse’ sembrava tornato a Waati (1995) e a Yeelen (1987).

o kaPoi, la questione familiare prende il sopravvento fra testimonianze, la radio che segue il processo (come in Bamako di Abderrahmane Sissako), la vita nel quartiere e la presenza sempre più insistita e accusatoria della voce di Cissé, spesso anche in campo. L’atto d’accusa, la ricerca della verità, viene ribadito in maniera troppo esplicita, e solo nelle immagini finali qualcosa della flagranza dell’inizio si riaffaccia. Ancora la natura, gli animali, una statua, Cissé e i suoi familiari che avanzano e si allontanano nei campi…

Spiace che Cissé, figura imprescindibile del cinema africano con i suoi cinque capolavori realizzati fra il 1975 e il 1995 (senza dimenticare i suoi corto e medio metraggi), abbia, se non perso, affievolito la sua poetica (ancor più nel precedente Min Ye…, del 2009), il suo sguardo un tempo posato, non solo per pochi istanti come in O Ka, su vento, acqua, terra, fuoco nel suo viaggio filmico a contatto con l’origine del mondo.

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