#Cannes68 – La Glace et le Ciel, di Luc Jacquet

Si chiude il Festival di Cannes con il Film di Chiusura: La Glace et le Ciel, di Luc Jacquet. Un documentario che fa un bel lavoro sui materiali d’archivio, pur restando eccessivamente didattico

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“Il ghiaccio è come un libro”, dice lo scienziato ottantaduenne Claude Lorius, lo si può sfogliare sino ad arrivare a pagine inaccessibili. Perché continuare a cercare di dare senso al mondo è un dovere dell’uomo. Ecco allora: torna nel continente antartico il cinema di Luc Jacquet (dopo il successo mondiale nel 2005 col documentario La marcia dei pinguini), questa volta seguendo scrupolosamente i ricordi di uno dei padri della ricerca scientifica sulle variazioni climatiche: inseguendo i suoi racconti frutto di ben 22 spedizioni polari nell’arco di 10 anni, tra i ’60 e i ’70, anni di incredibile “fiducia che la scienza potesse migliorare il mondo”. Insomma la domanda su cosa l’uomo vuol fare del suo pianeta e su come intende regolare ciò che ha evidentemente alterato, è sempre assolutamente attuale.

Il film poi. I ricordi di Lorius vengono colti dalla sua voce fuori campo che fa da tappeto a una quantità enorme di materiali d’archivio, provenienti dalle più svariate fonti internazionali, che ci restituiscono una ottima riflessione sulla memoria novecentesca. Ormai diventata a tutti che gli effetti memoria mediale. Sono le alternanze nella percezione del dispositivo (immagini Super 8, 16 mm, betacam, sino ad arrivare al digitale nelle scene odierne) che segnano gli scarti nella memoria dell’anziano testimone. Insomma tutto questo giocare con le immagini del passato per “parlare” al presente è una interessantissima dinamica che, ovviamente, il cinema di Jacquet depotenzia un po’ nel suo impeto primariariamente e orgogliosamente didattico.

Qui non siamo dalle parti delle estasi sui ghiacci di Werner Herzog o nei suoi incontri alla fine del mondo, perché l’immagine non viene mai piegata e rimontata per andare “oltre” il suo scopo contingente. Cosa, in fondo, da mettere ampiamente in conto in una concezione del documentario di tale tipo. Resta forte però lo scarto tra le bellissime immagini d’archivio – che vedono Lorius impegnato in varie missioni esplorative come in quella storica del 1984 con una equipe di scienziati provenienti da tutto il mondo, Usa e Urss compresi, uniti per scopi scientifici e mettendo da parte ciò che nel mondo “sopra” stava avvenendo. La cosiddetta Guerra Fredda. Straordinario paradosso quello della Guerra Fredda disgelata al Polo Sud – e quelle girate oggi. Immagini un po’ troppo stilizzate e barocche per configurare al meglio la forza della natura.

Il film, comunque, centra bene il suo obiettivo. La storia di Lorius, la sua ossessione per le “bolle” di gas nel ghiaccio che raccontino la storia del nostro pianeta, infine i suoi urgenti quesiti sui cambiamenti climatici odierni, sono cose che “rimangono” allo spettatore. Peccato solo che l’impeto scolastico del progetto lo castri un po’ dal punto di vista strettamente cinematografico, ma tant’è: il ghiaccio e i suoi misteri restano sempre tra le visioni più “pure”.

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